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18 febbraio 2014 2 18 /02 /febbraio /2014 22:04
Salvatore Settis, Vitruvio e gli architetti

Pubblico uno stralcio del bellissimo intervento che il prof. Salvatore Settis ha tenuto in occasione del conferimento del dottororato h.c. e pubblicato su Il Sole 24 Ore.

Se tale messaggio fosse recepito dagli architetti vi sarebbe speranza, ma ritengo cadrà nel nulla perché la maggioranza di essi è estranea ai fondamenti culturali ai quali si riferisce il prof. Settis.

Se  si capisse che "il rispetto della storia (e dei contesti) e l'attenzione per la salute sono due facce della stessa medaglia" (come sostiene il Nostro alla fine dell'articolo) sono fondamenti del buon progettare e costruire e soprattutto valorizzare il patrimonio culturale,  qui a Mendrisio non devasterebbero il Parco di Villa Argentina con edifici di Accademia o altro ma lo valorizzerebbero secondo la Carta dei giardini storici e non avrebbero mai presentato una domanda di costruzione per coprire la corte interna del monumento storico ex-Ospizio della Beata Vergine.  

Tiziano

 

SALVATORE SETTIS

Il giuramento di Vitruvio

 

Come i medici con Ippocrate gli architetti dovrebbero legare etica e conoscenza impegnandosi a realizzare sempre edifici di qualità evitando scempi ambientali.

Le devastazioni del nostro paesaggio sono l'opera di una perversa alleanza tra forze diverse dell'imprenditoria, della finanza, della politica e delle mafie.

Ma sono responsabili anche architetti, ingegneri e urbanisti. Vorrei qui insistere sull'etica dell'architetto. Un architetto deve corrispondere alle aspettative del suo committente, chiunque sia e quali che siano le sue richieste o, mentre progetta e mentre costruisce un edificio o trasforma un paesaggio o una città, deve avere in mente un più ampio orizzonte? E quale?

Il profilo etico delle professioni non è oggi in prima linea. Inoltre, solo in alcune professioni questo profilo è stato esplicito. Il caso più chiaro è quello della professione medica e del connesso «giuramento di Ippocrate». Appartenente al Corpus Hippocraticum e databile intorno al 1400 a.C., questo testo conobbe la sua fortuna in età moderna con le scuole mediche del Cinquecento. Poi venne rilanciato in Francia dopo la Rivoluzione Francese e riaffermato con la dichiarazione di Ginevra della World Medical Association (1948). Il giuramento è ancora in uso in Gran Bretagna, dove l'ultima versione è stata lanciata nel 1996. In tutte le redazioni alcuni punti-chiave restano costanti, in particolare il solenne giuramento del medico: «Regolerò ogni prescrizione per il giovamento dei malati seconde le mie possibilità e il mio giudizio; e giuro che mi asterrò dal recar loro qualsiasi danno e offesa (...) In qualsiasi casa io entri, giuro che vi entrerò solo per il bene dei malati, astenendomi da ogni offesa volontaria e da ogni abuso».

Vorrei ora proporre un passo di un altro autore antico, Vitruvio. Questo architetto dell'età di Augusto è per noi straordinariamente importante per il trattato «De architectura», una vasta opera in dieci libri che è il solo trattato di architettura di età classica che sia sopravvissuto. In Vitruvio c'è un passo che delinea la figura dell'architetto ideale, indicandone le caratteristiche salienti. Si trova all'inizio del I libro: «La scienza dell'architetto richiede l'apporto di molte discipline e di conoscenze relative a svariati campi. Egli deve essere in grado di giudicare i prodotti di ogni altra arte. La sua competenza nasce da due componenti: quella pratica, che è la costruzione e quella teorica. La "fabrica" consiste nell'esercizio continuato e ripetuto dell'esperienza costruttiva, che si concreta quando l'architetto di sua propria mano, sulla base di un disegno progettuale, analizza l'edificio desiderato. La ratiocinatio consiste nella capacità "di esporre e spiegare gli edifici, una volta costruiti con debita diligenza, secondo computi matematici e proporzionali. Solo chi padroneggia sia la pratica che la teoria è dotato di tutte le armi necessarie e può conseguire pieno successo (…). L'architetto deve dunque avere ingegno naturale ma anche sapersi sottoporre alle regole dell'arte (…). Deve avere cultura letteraria, essere esperto nel disegno, preparato in geometria e ricco di cognizioni storiche; deve avere nozioni di filosofia e di musica, saper qualcosa di medicina e di diritto, ma anche di astronomia e astrologia».

La citazione potrebbe continuare: per ciascuna delle virtù intellettuali (e delle competenze) del suo architetto ideale, Vitruvio dà infatti un'articolata motivazione. Per esempio, le nozioni mediche gli servono per studiare il clima e fare in modo che le abitazioni che costruisce siano salubri. Ora, usando i requisiti dell'architetto elencati da Vitruvio, potremmo mettere insieme un «giuramento di Vitruvio», facendone il perfetto equivalente del giuramento di Ippocrate. Se chiunque costruisce oggi in Italia tenesse fede a un simile giuramento, nessuno avrebbe mai osato, ad esempio, edificare numerosissime abitazioni a un passo dalle discariche di Campania e sarebbe impegnato a costruire solo «salubres habitationes». Né questo è un problema della sola Campania. Mi basti ricordare due soli esempi: a Crotone, i cortili di tre scuole sono stati pavimentati con tonnellate di rifiuti tossici da una vicina fabbrica; a Milano, i cantieri di un intero quartiere (Santa Giulia) sono stati sequestrati perché esso era in costruzione sopra un gigantesco deposito illegale dì scorie cancerogene provenienti da stabilimenti dismessi (Montedison e acciaierie Redaelli). Eppure, il progetto di Santa Giulia era stato presentato alla Biennale di Venezia 2006 come un progetto d'avanguardia firmato da un celebre architetto, Norman Foster (viene in mente l'amara riflessione di Giancarlo De Carlo sul «fenomeno della copertura professionale» di grandi architetti in occasione di operazioni speculative).

Se la World Medical Association continua ad «aggiornare» il giuramento di Ippocrate (ad esempio, cancellandone il divieto di aborto) e in tal modo ne riafferma implicitamente la perenne attualità, analogamente anche noi potremmo, anzi forse dovremmo chiederci di continuo quali delle qualità che Vitruvio chiedeva all'architetto siano ancora attuali. La storia è certamente una di queste.

Sappiamo bene quanto stia arretrando nelle scuole di architettura. in tutto il mondo, lo studio della storia in generale, e in particolare della storia dell'arte e della storia dell'architettura; quasi fosse un peso gravoso di cui liberarsi per vivere gioiosamente uno smemorato presente.

La feroce presentificazione dei monumenti storici tende a separare la categoria della tutela, radicata nella storia, dalle pratiche della gestione, interamente determinate dall'economia. Le urgenze del presente ci spingono a rileggere le vicende del passato non come mero accumulo di dati eruditi ma come memoria vivente delle comunità umane. Solo questa concezione degli studi storici può trasformare la consapevolezza del passato in lievito per il presente, in serbatoio di energie e di idee per costruire il futuro. È infatti dovere, anzi mestiere, di chi "fa storia" coltivare uno sguardo lungo, una visione delle cose e degli uomini che riguarda tanto il passato quanto il futuro, necessariamente imperniandosi sul presente ma non come spettatori passivi, bensì interpretandone le contraddizioni alla luce della storia, premessa necessaria per provare a costruire un futuro diverso e migliore. Questo è il contesto nel quale dobbiamo chiederci quale debba essere la nuova etica dell'architetto davanti alle sfide del presente. E in questo contesto, il rispetto della storia (e dei contesti) e l'attenzione per la salute sono due facce della stessa medaglia.

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