Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
16 dicembre 2018 7 16 /12 /dicembre /2018 23:24

Stamattina nel centro storico di Mendrisio il mercatino di Natale ha attirato, malgrado il freddo pungente, molte persone, anche se poche nel corso della mattinata sono entrate a curiosare e a fare acquisti nei negozi aperti per l'occasione (speriamo sia andata meglio nel pomeriggio). Il passaggio dei babbi Natale motorizzati ha lasciato puzza e frastuono.

Un'assurdità dei nostri decenni caratterizzati da inquinamento di aria e acustico, da kitsch, da volgarità  ... 

Per fortuna bancarelle e negozi con persone squisite mettono di buon umore.

Tiziano

Centro storico di Mendrisio

Condividi post
Repost0
11 dicembre 2018 2 11 /12 /dicembre /2018 23:03

Domande per il gruppo I Verdi sul MM N. 66/2018 Revisione del Piano regolatore Città di Mendrisio / Quartiere di Besazio  

 

  1. A pag. 12 del Rapporto di pianificazione – Programma di urbanizzazione dicembre 2017 si indica che l’incremento demografico "ha subito un rallentamento dagli anni ’90 sino ad oggi. È tuttavia da notare che l’ulteriore riduzione che si registra dal 2010, è in parte dovuta al cambiamento del metodo statistico di raccolta dei dati; ora ci si basa infatti sul registro dei dati".
  • Potete spiegare in cosa consiste/ono la/e differenza/e dei due metodi statistici utilizzati, quello prima del 2010 e quello post-2010 (definito “registro dei dati”)?
  • Si tratta di un cambiamento del metodo statistico a livello cantonale o federale?
  • Per quale motivo la modifica ha comportato una riduzione?

 

  1. "In conclusione, si può affermare che Besazio, nonostante il calo degli ultimi anni, continua ad essere attrattiva per la residenza" (R. di p. p. 12). Vista questa frase e visto che secondo le tabelle presenti nel R. di P. l’evoluzione demografica tra il 2007 e il 2009 ha conosciuto una stabilità (vecchio metodo di calcolo), così come tra il 2011 e 2015 (nuovo calcolo):
  • su quali criteri tecnici/scientifici si fonda la previsione di continua crescita per i prossimi 15 anni?
  • La previsione di crescita in che percentuale si fonda su calcoli tecnici e in quale percentuale si fonda su volontà/desideri politici (definiti “prospettive di sviluppo”) legate alla decisione di fare di Besazio un quartiere residenziale (come indicato anche sia nei PR e relativi R.diP. e nei vari PAM)?
  • Le “prospettive di sviluppo” politiche di continua crescita sono conformi al principio di sviluppo sostenibile?
  • Lo sviluppo sostenibile non dovrebbe condurre, raggiunta una certa soglia, a un blocco della crescita di popolazione/posti di lavoro/ posti turistici?
  1. L’Esame preliminare del 17 marzo 2009 del Dipartimento del territorio contiene il capitolo 3.2 Dimensionamento del Piano regolatore – il cui contenuto dovremmo dare tuttora per valido visto che tale capitolo non è più stato riproposto nell’EP del 16 giugno 2016 – nel quale si afferma che: "confrontando i dati relativi alla previsione (800 ui) con il contenimento del PR (1100 ui) se ne deduce un margine teorico dell’ordine delle 300 ui, il che porta ad affermare che il PR vigente è ampiamente dimensionato".
  • le unità insediative (UI) della proposta di revisione del PR di cui al MM 66/2018 corrispondono a quelle indicate dal DT, vale a dire 1100? 
  • il margine teorico della proposta di revisione del PR di cui al MM 66/2018 corrisponde a quello indicato dal DT, vale a dire 300?
  • un PR che presenta 300 ui di margine teorico non è definibile come PR sovradimensionato?
  1. I dati sopra indicati ripresi dall’EP del DT che si fondano su quelli del Rapporto di pianificazione non corrispondono a quelli indicati nello “Studio strategico Alto Mendrisiotto insieme con energia dialogo e passione”; riproduciamo qui di seguito la tabella per meglio illustrare la situazione (non possibile riprodurla) 

Da questa tabella risulta che le UI teoriche sarebbero addirittura 1544 con riserve pari a 677 UI.

  • Potete spiegare la differenza di dati?
  • Quali dati sono attendibili e determinanti per valutare la Revisione del Piano regolatore?
  1. È conforme al principio dello sviluppo sostenibile prevedere un incremento decennale del 20% fino al 2030 di abitanti, del 10% di posti di lavoro e del 35% di turismo?
  2. La tabella a pagina 19 del Rapporto di pianificazione – Programma di urbanizzazione  si riferisce alle “unità abitative” previste? Quindi si deve intendere: 1) abitanti: 853 ui, 2) posti di lavoro: 183 ui; 3) posti turismo: 45 ui ? Per un totale di 1081 ui al 2030?
  3. Nella tabella “Abitazioni vuote (1993-2012)” a pagina 16 del R. di P. risulta che nel 2012, ultimo anno riportato, non vi sono abitazioni vuote. Quale è lo stato delle abitazioni vuote attuale o, per lo meno, riferito al 2017?
  4. Se la “soluzione” riferita al Piano di Quartiere 1 appare di primo acchito un compromesso sostenibile – che andrebbe comunque approfondito – quella per il Piano di Quartiere 2 (fmn 22, 23 e 24) suscita perplessità vista la particolarità della zona del nucleo nella quale si trovano i fondi.
  • Quante domande di costruzione sono state presentate da quando questi tre fondi si trovano in zona edificabile? Si chiede di indicare i dati per singolo fondo e l’iter seguito (se presentata una domanda di costruzione: data di presentazione, eventuale data di rilascio licenza o di ritiro domanda di costruzione o di decadimento della licenza se non usata)
  • Per quest’area non è concepibile un non azzonamento/dezonamento?
  • Non è una forzatura voler “completare” un nucleo che storicamente si è definito così come ora lo si vede? Quale motivazione urbanistica spinge a voler “completare” via Cava?
  • Voler eliminare uno spazio verde ancora esistente e storicamente sedimentato non va contro le disposizioni della Confederazione che invitano a mantenere il più possibile gli spazi verdi di prossimità ancora esistenti nelle zone edificabili?
  • La possibilità di realizzare posteggi vista la conformazione della via Cava e l’ubicazione dei fondi non contraddice palesemente la pretesa volontà di “preservare i valori esistenti”?
  • La possibilità di procedere a tappe non implica il pericolo di avere situazioni indecorose e irrispettose del contesto? 
  • Gli indici edificatori non potrebbero essere ridotti per evitare una volumetria eccessiva vista l’ubicazione?
  1. La revisione del PR proposta respinge i suggerimenti di tutela quali beni culturali di interesse locale di diversi edifici proposti dal Dipartimento del territorio, tra i quali anche la villa ex casa comunale. 
  • Sono state fatte fare valutazioni da esperti per giustificare la decisione di non tutela?
  • Quando intende il Municipio procedere all’elaborazione di una Variante di PR dei beni culturali di interesse locale?

Tiziano Fontana

 

 

Condividi post
Repost0
21 novembre 2018 3 21 /11 /novembre /2018 23:37

Traggo da "Il nostro Paese", n. 328, aprile-giugno 2016, questo bellissimo e profondissimo articolo dello scrittore Carlo Zanda (autore del bellissimo libro su Hesse "Un bel posticino") che contiene le motivazioni profonde a sostegno della difesa di quanto rimane di Casa Rossa e suo Parco a Montagnola. 

Tiziano

Hermann Hesse e la Casa Rossa di Carlo Zanda 

Era la primavera del 1919 quando Hermann Hesse, ricoverata la moglie in una clinica psichiatrica e affidati i figli alle cure di amici generosi, lasciò Berna, dove aveva lavorato durante la guerra, e arrivò in Ticino per ricominciare daccapo. Era, allora, un uomo cui mancava tutto: famiglia, salute, denaro, un tetto. Trovò una casa a Montagnola.
Anni dopo, ne abitò un’altra, con caratteristiche molto differenti. Se ambedue queste case sono ricordate come importanti nella sua biografia è perché, ognuna a suo modo per quarantatré anni, fornirono la perfetta cornice al suo travaglio esistenziale, finendo perfino con l’assomigliargli.
Fu senz’altro una fortuna trovare Casa Camuzzi, in primo luogo perché poteva permettersela. Il prezzo era accessibile e inoltre disponeva di un rigoglioso giardino proprio sotto il terrazzino dello studio. Qui Hesse ritrovò l’ispirazione necessaria alla sua attività di scrittore. D’estate, la casa diventava la base perfetta da cui muovere per girovagare nei boschi; d’inverno, la mancanza di riscaldamento, per via dei suoi malanni alle
ossa, imponeva la fuga e la ricerca di tepore in attrezzate stazioni termali o nelle calde abitazioni di amici ospitali.
I bizzarri e fantasiosi fregi che il proprietario-progettista del palazzetto, l’architetto Agostino Camuzzi, aveva voluto sulla facciata si intonavano bene con il carattere nomade e inquieto di Hesse. Quelle stanze lo videro stringere amicizia con il mistico Hugo Ball, sposarsi (un breve matrimonio) con la giovane Ruth Wenger, dedicarsi agli amati acquerelli, scrivere alcune delle sue opere maggiori tra cui Klein e Wagner, L’ultima estate
di Klingsor, il sempreverde Siddharta, Narciso e Boccadoro, Il lupo della steppa.

Nell’estate del 1931 Hesse si trasferì nella seconda casa importante del suo soggiorno a Montagnola, chiamata Casa Rossa per via del colore (di allora) dei muri esterni. Un doppio colpo di fortuna, questa volta: perché si trattava del regalo di un amico facoltoso e perché fu costruita secondo un progetto da lui deciso assieme alla nuova moglie, Ninon Ausländer, sulla base di precise esigenze: spazi interni organizzati in modo da conciliare matrimonio e indipendenza reciproca; un ampio giardino in cui coltivare alberi e piante, la passione di sempre; uno studio al piano terra per l’altra grande passione, la pittura; possibilità di ospitare figli, nipoti e amici che con regolarità cominciarono a far visita all’ «eremita» di Montagnola. Infine, finalmente, un confortevole sistema di riscaldamento. La Casa Rossa sin dall’inizio consentì a Hesse di condurre un’esistenza completamente nuova, contribuendo non poco a fare di lui un uomo meno irrequieto e più abitudinario, sedentario, con maggior tempo a disposizione per leggere, scrivere, curare la corrispondenza, meditare.
Gli diede quella stabilità che non aveva mai posseduto e, come già era avvenuto con Casa Camuzzi, corrispose perfettamente alle sue necessità, permettendogli di vivere il più lungo e solido rapporto sentimentale della sua vita. Man mano che la sua fama cresceva, la Casa Rossa diventò sempre di più luogo di incontro con l’aristocrazia della cultura europea: Thomas Mann, Max Brod, Karl Kerény, Herbert Marcuse, Andrè Gide, Romain Rolland, Suzanne Debruge, Martin Buber, Max Picard, Bernard von Brentano, Bertold Brecht, Max Frisch, Peter Suhrkamp. I libri, la politica, la vita erano i temi delle conversazioni che frequentemente lo impegnavano con i suoi illustri visitatori in biblioteca o nel giardino.
Ma l’avvento di Hitler al potere e poi la guerra cambiarono tutto, in Europa e nella sua vita. Osteggiato dal nazismo e nell’impossibilità di riscuotere i proventi dei sui libri, la stanzialità per Hesse, prima ancora che una scelta, divenne una necessità. Una situazione nuova nella quale anche la Casa Rossa fu chiamata a svolgere
un ruolo attivo: divenne una casa-rifugio per gli amici ebrei e gli intellettuali politici perseguitati, attrezzandosi a svolgere la funzione di centro di accoglienza, quasi una sede distaccata della Croce Rossa internazionale, dove Hermann e sua moglie preparavano documenti utili all’espatrio, tenevano i rapporti con le ambasciate, procuravano fondi e ospitalità. Dirà Clemente Molo, l’ultimo, il più intimo dei medici di Hesse: la Casa Rossa si trasformò in «un faro che attraeva i dispersi, gli esuli, i diseredati». «Chiunque cercasse una parola-guida, una frase o un incitamento a proseguire la strada faticosamente intrapresa», guardava inevitabilmente a Montagnola, «si recava da Hesse, scriveva a Hesse, ne attendeva fiducioso la risposta e continuava ad essergli grato per tutta la via».

Nell’autunno del 1943 Hesse pubblicò, presso un editore zurighese, l’unico libro importante non scritto in Casa Camuzzi, Il giuoco delle perle di vetro. Poi, un anno e mezzo dopo la fine della guerra, arrivò il Nobel per la letteratura e la Casa Rossa fu inondata da tanti di quei regali e messaggi di congratulazioni da ogni parte
del mondo che finalmente anche la gente della ignara Montagnola capì chi era quell’eccentrico e un po’ burbero signore col cappello di paglia e la salopette che da un quarto di secolo abitava ai margini del villaggio.
Da allora, se possibile, la Casa Rossa acquistò per Hesse una importanza ancora maggiore, divenne la sua tana, il fortino al riparo del quale tentò di difendersi dagli assalti degli ammiratori in cerca di una foto-ricordo o di un consiglio letterario.
Accanto alla porta del suo appartamento appese la citazione di un saggio cinese che invitava a rispettare la solitudine di un uomo che stava preparandosi a morire: «Quanto ora gli serve è la pace. Non è elegante cercarlo, volergli parlare, tediarlo con pettegolezzi. Conviene passare davanti alla sua abitazione come non vi
abitasse nessuno».
Divenne ancora più prezioso il giardino, dove gli alberi e le piante divennero i principali interlocutori delle sue riflessioni. Su ciò che, non soltanto i cittadini tedeschi, ma tutti gli uomini, avrebbero dovuto imparare  dall’immane tragedia della guerra da poco conclusa: solidarietà, giustizia, responsabilità individuale. E sul suo personale destino: gli ultimi versi, quelli della poesia Il ramo spezzato, li corresse per l’ultima volta prima
di addormentarsi, al termine di una giornata in cui, camminando in giardino con Ninon, si era immedesimato nel vecchio ramo di una robinia, dondolante e dolente, ma non ancora del tutto arreso.
Era la notte dell’8 agosto del 1962. La mattina dopo, nel sonno, Hesse lasciò per sempre il mondo.


Perché difenderla

Due sono quindi le ragioni – una che riguarda la sfera più personale della vita di Hesse, l’altra che attiene al ruolo pubblico di intellettuale impegnato – che militano a favore della tutela della Casa Rossa e del suo giardino come beni degni di tutela nell’interesse generale.

La prima, la più ovvia, è che Hesse nella Casa Rossa visse trentadue anni, i due terzi del suo soggiorno in Ticino, e anche se oggi è molto cambiata resta una tappa fondamentale per chiunque sia interessato a ripercorrere, a Montagnola, i luoghi di uno degli scrittori più amati del Novecento, ancora oggi il più letto grazie a Siddharta. E fu importante, la Casa Rossa, perché lo aiutò ad elaborare una visione della vita improntata alla accettazione del tempo che passa, della malattia e del rispetto della natura che resta uno dei suoi lasciti più alti nell’età matura.
Il giardino, in particolare, fu decisivo. Hesse equiparava la cura degli alberi e delle piante alla lettura di un libro o all’ascolto della musica. Serviva a concentrarsi, diceva, alla «tessitura dei fili della fantasia». Confidò al figlio Bruno che buona parte del Giuoco delle perle di vetro, l’opera che gli valse il Nobel, era nata proprio strappando le erbacce nel giardino della Casa Rossa. Cancellarne la memoria sarebbe come rimuovere dalla biografia di Marcel Proust Illiers, il paesino della sua infanzia con cui si apre la Recherche; oppure cancellare la Finca Vigia, la tenuta cubana ora trasformata in museo, da quella di Ernest Hemingway.

La seconda ragione è che la Casa Rossa, nell’Europa di oggi sempre più divisa e pericolosamente tentata dal ritorno ai vecchi confini nazionali, può essere vista come il simbolo dell’adesione a un sistema di valori – in primo luogo l’antinazionalismo e la solidarietà – che appare come l’unico in grado di dare una speranza al Vecchio Continente. Se infatti Casa Camuzzi fu il luogo della ritrovata creatività letteraria, la Casa Rossa fu, per Hesse, diventato cittadino elvetico nel 1924, il luogo dell’impegno civile a favore dei perseguitati e contro i totalitarismi, nel solco della più illustre tradizione della Svizzera. Hesse fu un uomo coerente che per coerenza rinunciò agli agi del successo. E seppe essere impopolare quando, alla caduta del nazismo, non si stancò
di censurare l’opportunismo dei suoi ex compatrioti dinanzi all’ascesa di Hitler, pretendendone una piena ammissione di responsabilità. Del resto questa fu anche la motivazione che nel 1946 lo condusse al Nobel: «… un uomo buono, che ha lottato, che segue con una fedeltà esemplare la sua vocazione e che è riuscito a tenere alta la bandiera dell’umanità in un’epoca tragica».
 

Condividi post
Repost0
19 ottobre 2018 5 19 /10 /ottobre /2018 23:31

Un articolo sul problema che caratterizza le città più turistiche ma che sta coinvolgendo tutte le città a livello mondiale. E qualche possibile soluzione. Tiziano 

Ripopolare Venezia

(da eddyburg, 15.10.2018)
 
di Giuseppe Tattara e Gianni Fabbri   
Una proposta concreta per trasformare parte delle affittanze turistiche in affittanze per residenti di medio periodo e arginare la turistificazione di Venezia, restituendo vivibilità e opportunità economiche al di fuori dell'industria del turismo.

L’ultimo fine settimana di settembre di quest’anno hanno attraccato alla Stazione Marittima 17 navi da crociera, di cui 6 superiori alle 70 mila tonnellata di stazza, e ognuna di queste trasporta una media di 2700 passeggeri. Aggiunti i passeggeri delle navi minori, considerato l’imbarco e lo sbarco, si è scaricata in città una ondata di 50.000 crocieristi e membri di equipaggio, un numero pari all’intera popolazione residente nel centro storico. A questo flusso si aggiungono i 50/60.000 escursionisti che visitano la città in un qualsiasi fine settimana di settembre.

In controtendenza è di poche settimane fa l’allarme sul fatto che la spesa del turista medio in città va costantemente declinando e che gli alberghi segnano un calo delle presenze, è il pericoloso segnale di un esito distorto dell’attrattività turistica mondiale di questa città.

Oggi gli escursionisti giornalieri non solo superano i turisti “pernottanti” – di per sé segnale di un deterioramento della qualità del turismo - ma superano l’insieme di questi ultimi e dei residenti. Uno tsunami che deteriora l’offerta di servizi (negozi, ristoro, trasporti) che ad esso si adegua e che soddisfa ormai prevalentemente la domanda del turista di passaggio (e il crocierista è un turista escursionista). È senza senso dire che tanti turisti fanno bene all’economia della città perché rappresentano comunque un aumento della domanda (il “frigorifero pieno” del sindaco) senza interrogarci sulla qualità del contenuto. È pieno di patate o di funghi porcini?

In queste condizioni fare una politica che accresca il flusso dei turisti, qualsiasi essi siano, “basta riempire il frigorifero”, equivale a fare il male della città.

Sono necessarie invece delle misure che invertano il trend al declino della qualità del turismo, e salvino i brandelli rimasti di quella coesione sociale della città che pur permane. Ne abbiamo avuto un esempio nei tanti cittadini convenuti sulla riva delle zattere e a bordo del centinaio di imbarcazioni che hanno manifestato nel canale della Giudecca la scorsa domenica contro il passaggio delle grandi navi. Si può pensare a una politica turistica diversa?

Innanzitutto la città ha bisogno di energie giovani e ringiovanire una città “vecchia” si può fare solo immettendo forze fresche dall’esterno utilizzando appieno la sua straordinaria attrattività. Pensiamo agli artisti, agli studenti, ai ricercatori, a coloro che praticano le attività legate al mare, al restauro, all’erosione, alle lagune, a chi lavora nei campi dove la città ha un innegabile vantaggio “storico e naturale”. Pensiamo a una Biennale, che unisca a una meritoria attività espositiva e di documentazione, un’attività di laboratorio d’ arte, che incentivi e aiuti la permanenza di giovani a Venezia; cosa fattibile specialmente oggi che la biennale gestisce una grande parte dell’Arsenale. Pensiamo alle tante università straniere che di frequente guardano a sedi estere per rendere i loro studenti sempre più cittadini del mondo, unendo allo studio la permanenza in un altro paese, l’incontro con altre realtà.

Si deve puntare gradualmente alla trasformazione di parte delle affittanze turistiche in affittanze per residenti di medio periodo, che lavorano in campi nei quali Venezia esercita una specifica attrattiva, e che hanno esigenze e consumi affini a quelli dei residenti. Le risorse per quanto riguarda gli alloggi ci sono. Pernottano oggi a Venezia almeno 30-40.000 persone al giorno in media e gli appartamenti ad uso turistico superano le 5.000 unità. Non si può dirottare il 20% dell’offerta di tali alloggi alla residenza di questi ceti giovanili? Non si possono sperimentare limiti e incentivi sulle locazioni, con accorgimenti che stanno prendendo piede in tutte le principali città? Berlino, Parigi, Madrid, Londra, Amsterdam, NY, San Francisco oltre la solita Barcellona? Si riducano le giornate massime di locazione turistica (come in tutte le città sopra ricordate), si crei la categoria del residente temporaneo con dei vantaggi tariffari e fiscali, si controlli finalmente l’evasione nell’affitto turistico che è altissima e si pretenda la tassa di soggiorno (aumentata) alla fonte, e il dirottamento dell’offerta di alloggi seguirà. Berlino ha limitato l’affitto turistico di “appartamenti interi”, e con questa misura ha riportato sul mercato della residenza 8.000 unità, 1/3 dello stock. Certo tutto questo dopo aver doverosamente messo in locazione le case sfitte del patrimonio pubblico, meglio se in forme di autorestauro, senza esborso di denaro pubblico (che per queste cose manca sempre), e anche qui Venezia può tracciare una strada con forme di autorestauro molto interessanti, già in essere, che vanno valorizzate.

Obiettivo è condividere una diversa idea di città rispetto a quella di oggi. Se distruggiamo la vita della città, distruggiamo il patrimonio che ci è stato consegnato ma distruggiamo anche la esperienza che della vita di Venezia il visitatore può fare, e così rinunciamo alla parte più dinamica, ricca e interessante degli stessi flussi turistici, quella che andrebbe invece attratta e valorizzata in tutti i modi.

Bibliografia di riferimento
Giuseppe Tattara e Gianni Fabbri autori, con R.Bartoloni e F. Migliorini, “Governare il turismo e organizzare la città”,  2018

Leggi i commenti

Condividi post
Repost0
12 ottobre 2018 5 12 /10 /ottobre /2018 17:54

Pubblico il Manifesto contro la turistificazione pubblicato il 30 aprile di quest'anno. Un tema fondamentale per le molte i implicazioni valide anche per il Ticino.

Tiziano

 
Manifesto contro la turistificazione della rete SET
30 aprile 2018
 
Di fronte al disagio abitativo, la violazione dei diritti e i danni ambientali provocati dalla crescente ascesa dell'industria turistica, una rete di movimenti del Sud Europa ha creato un manifesto per cominciare ad opporre resistenza. con riferimenti (i.b.)

In molte città del Sud Europa stanno nascendo movimenti di resistenza ai processi di turistificazione  che le stanno investendo. Associazioni e collettivi di alcune di queste (Venezia, Valencia, Siviglia, Palma, Pamplona, Lisbona, Malta, Malaga, Madrid, Girona, Donostia/San Sebastian, Canarie, Camp de Terragona, Barcellona) si sono incontrati nel corso dell’ultimo anno in diverse occasioni, con l’obiettivo di condividere e scambiare esperienze e conoscenze.

Anche se ognuna di queste città presenta problemi specifici legati a questo fenomeno, alcuni sono senza dubbio comuni a tutte loro:
  • Il più importante ed esteso: l’aumento della precarizzazione del diritto all’alloggio, in buona parte provocato dall’acquisto massivo di immobili da parte di fondi di investimento e fondi immobiliari per destinarli in buona parte al mercato turistico. In questo modo le abitazioni sono private della loro funzione naturale, si generano gentrificazione e sfratti e si assiste allo svuotamento di alcuni quartieri in una evidente violazione dei diritti sociali della popolazione.
  • Aumento dei prezzi e trasformazione delle attività commerciali locali in attività turistiche slegate dai bisogni delle popolazioni locali (spesso in età avanzata). 
  • Massificazione di strade e piazze che rende difficile la vita quotidiana dei residenti sia per quanto riguarda il rumore che l’accesso stesso allo spazio pubblico. 
  • Saturazione delle reti di trasporto pubblico. 
  • Alta dipendenza dell’economia locale dal settore turistico, con tendenza alla monocultura.
  • Precarizzazione delle condizioni lavorative della popolazione, dato che i principali settori turistici (alberghiero, ristorazione, commercio) presentano spesso le peggiori condizioni di lavoro (salari bassi, lavoro in nero, esternalizzazione...). 
  • Alti tassi di inquinamento (aerei, navi da crociera, corriere...) e di residui dovuti soprattutto alla tendenza di consumare elevate quantità di prodotti usa e getta, caratteristica dell’industria turistica; uso massivo di risorse – acqua e territorio – e perdita del diritto a vivere in un ambiente sano. 
  • Uso smisurato e ampliamento costante delle infrastrutture (strade, porti, aeroporti, depuratori, impianti di dissalazione ) che sfigurano il territorio, provocano espropriazioni e impongono costi elevati alla popolazione residente. Questi processi provocano una forte competizione per il territorio in cui si perde l’accesso alle attività e ai servizi di base: lavoro, scuole, ospedali, ecc. 
  • Banalizzazione dell’ambiente urbano e naturale trasformato in parco tematico. Nel primo caso, assistiamo allo spoglio e alla vendita del patrimonio, nel secondo alla riduzione degli usi agricoli o di pesca. L’obiettivo comune è lo sfruttamento illimitato dell’ambiente dal punto di vista turistico. 
Di fronte a questi e altri conflitti, la popolazione locale ha iniziato a organizzarsi per difendere i suoi diritti sociali, primo fra tutti, il diritto a un alloggio dignitoso e accessibile e il diritto alla città. Il lavoro collettivo che nelle nostre città stiamo realizzando spesso comincia dalla messa in evidenza di questi conflitti e dall’acquisizione di una maggiore consapevolezza, passando per la critica al modello turistico e la denuncia delle sue conseguenze, e continuando con la proposta di vie alternative.

Esempi di queste ultime, sono la richiesta di imposizione di limiti all’industria turistica, la deturistificazione dell’economia della città, o la decrescita turistica accompagnata da politiche di stimolo di altre economie più eque dal punto di vista sociale e ambientale. Il grado d’incidenza di questi problemi nelle diverse città non è affatto omogeneo, anzi molto variabile, giacchè spesso dipende direttamente dal grado di turistificazione che le colpisce. Così ci sono stadi più avanzati e gravi, ad esempio Venezia, Palma o Barcellona, dove è evidente la necessità di un cambio di modello e altre, come Valencia, Madrid o Lisbona che, nonostante si trovino immerse in rapidi processi di turistificazione, possono ancora aspirare a politiche di prevenzione o freno.

Su questi e altri argomenti, in queste e in altre città abbiamo trovato molti punti in comune, elogicamente abbiamo iniziato a pensare all’opportunità e necessità di creare una rete internazionale di città colpite dall’industria turistica.

L’obiettivo, oltre al supporto e al confronto reciproci, è di estendere questa lotta ad altre città e territori, creando una voce plurale e potente di critica al modello turistico attuale che si alzi dal Sud Europa. Questo manifesto è il primo passo per la internazionalizzazione della lotta alla turistifcazione delle città e dei territori, attraverso il quale continuiamo il dibattito, la riflessione e la mobilitazione comune.


Riferimenti

Il manifesto della rete SET (Sud Europa contro la Turistificazione) è stato presentato pubblicamente il 24 Aprile in tutte le città coinvolte. Nato sotto la spinta di una serie di organizzazioni e movimenti spagnoli, ha cercato sin dall'inizio di coinvolgere altre realtà europee, soprattutto dei paesi mediterranei, più fragili ambientalmente e più aggrediti dal turismo di massa, diventato oramai la nuova forma di colonizzazione, che relega ai margini - fisici, economici e sociali - i residenti delle città turistiche.
Qui potete accedere al video della rete e alla pagina facebook.

Segnaliamo alcuni dei numerosi articoli sugli effetti dannosi del turismo raccolti in eddyburg. Intramontabile l'articolo di Luigi Scano del 2006 sul Turismo insostenibile, che già allora sosteneva come il turismo minaccia di devastare Venezia. Un breve, ma significativo estratto del libro di Marco d’Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo, dove si spiega come il turismo non solo devasta le città a causa per la sua invadenza nella vita quotidiana dei residenti, ma la uccide in modo più sottile, svuotandola di vita, privandola dell’interiore, proprio come nella mummificazione, facendola diventare un immenso parco a tema, un’immensa Disneyland storica.

Su Venezia, consigliamo il testo di Clara Zanardi Non solo navi. Sull'impatto antropico sul turismo contenente una profonda analisi dell'impatto del business croceristico sulla città. L'intervista al sociologoveneziano Giovanni Semi, Venezia stregata dal turismo urge rompere l'incantesimo sul nuovo capitalismo finanziario che attraverso la monocultura turistica accelera i meccanismi di espulsione e di disuguaglianza abitativa. Dalla penna di Paola Somma si legga Bella gente, sulla quale il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro focalizza le sue politiche urbane, moltiplicando i favori all' industria del turismo e regalando sostanziosi incentivi agli sviluppatori immobiliari che stanno distruggendo il territorio lagunare.

Su Firenze, segnaliamo gli articoli di Ilaria Agostini Firenze. Il turismo consuma il diritto alla casa, che spiega come politiche mercantilistiche hanno cambiato la natura antropologica della residenza, e di Paolo Baldeschi Firenze. La movida, il turismo e la città desiderata, con un ampia analisi dei problemi derivanti dal turismo sregolato di massa e la svendita della città al turismo "ricco".

 
 
 
 
 
Condividi post
Repost0
12 ottobre 2018 5 12 /10 /ottobre /2018 17:50
Il turismo può diventare un serio problema per gli abitanti di città, borghi e località prese d'assalto da investitori e turisti

Tiziano

 

Prosegue a Napoli il cammino italiano della rete SET (Sud Europa di fronte alla Turistizzazione)
 
di SET Italia   
 
Rete SET - Italia, 07 Ottobre 2018. Si consolida in Italia la costruzione di una rete di città unificate dalla volontà di costruire una voce critica ed una forma attiva di resistenza contro l'attuale modalità di gestione dello sviluppo turistico nel nostro Paese. (c.z.)

Si terrà a Napoli, tra il 18 ed il 20 Ottobre 2018, il secondo incontro della rete SET nazionale, dopo la presentazione iniziale del progetto che ha avuto luogo a Venezia in Aprile. La rete nasce in sinergia con le mobilitazioni di collettivi e comitati che hanno interessato in questi anni la penisola iberica, dove lo sviluppo rapido e massivo del turismo ha determinato fenomeni acuti di overtourism, favorendo la diffusione di un pensiero critico capace di contestare la retorica dominante del turismo come indiscussa "gallina dalle uova d'oro" con un'analisi attenta e puntuale dei suoi reali costi ambientali, sociali, antropologici. Il ramo italiano, in via di costruzione in questi mesi, si avvia quindi a sua volta a elaborare in maniera collettiva e plurivoca una tramatura di narrazioni e pratiche condivise che dal basso, a partire dagli abitanti delle città, possa porsi come alternativa reale al modello di sviluppo che oggi ci viene imposto. Infatti, nonostante ogni luogo sia connotato da specificità e contraddizioni proprie, la turistificazione rimane un fenomeno globale, sistemico, diretta emanazione del capitalismo contemporaneo, e come tale richiede uno sforzo comparativo e connettivo tra le singole realtà che possa produrre un orientamento comune ed una sinergia tanto nella teoria quanto nelle prassi. E' in questa direzione che si muoverà l'incontro di Ottobre, di cui qui pubblichiamo l'invito pubblico e il programma, riunendo le voci di alcune tra le principali mete turistiche italiane (Napoli, Venezia, Firenze, Roma, Bologna, Genova...) in un momento di scambio e ideazione comune.
 
 
  INCONTRO DELLA RETE SET – ITALIA

 CITTÀ ITALIANE DI FRONTE ALLA TURISTIFICAZIONE

 Napoli 18 - 19 - 20 ottobre 2018

Il 24 aprile 2018 è stato pubblicato il manifesto fondativo della rete SET – Sud Europa di fronte alla Turistificazione. Un’iniziativa nata in particolar modo dall’esperienza di alcune città europee, tra cui Venezia e Barcellona, che prima di altre hanno dovuto affrontare gli effetti deleteri del turismo di massa. In Italia, nel giro di pochissime settimane la rete si è ampliata raccogliendo adesioni da parte di associazioni, movimenti, attivisti, ricercatori e cittadini che si sono mobilitati e uniti in molte città, a dimostrazione dell’urgenza di porre con forza la questione della turistificazione anche laddove il processo non ha ancora raggiunto i devastanti effetti dell’overtourism. Questo perché la trasformazione della scena urbana, all’aumentare del flusso turistico mondiale, avviene oggi ad una velocità tale che lascia ben poco spazio alle realtà locali per negoziare un proprio modello sostenibile di ospitalità e gestione del flusso. L’impatto del turismo si materializza in modo dirompente investendo l’abitare, il commercio, lo spazio pubblico, il lavoro, l’ambiente, non solo a Venezia e a Firenze, ma anche a Napoli, Bologna, Genova, Roma, Rimini e in molti altri luoghi di un Paese che vanta da sempre numeri da record nel settore turistico. Le ricadute sono complesse e non è sempre facile prevederne i rischi. Per queste ragioni SET sta creando uno spazio di confronto e di approfondimento continuo tra città e territori investiti dal processo di turistificazione, operando nell’Europa del Sud e in particolar modo contrastando l’idea, al momento egemone, che per alcune città non ci sia altra fonte di ricchezza economica se non il turismo di massa. La vita e la morte di questi luoghi sembra quindi giocarsi sulla sottile soglia tra il vivere anche di turismo e il vivere solo di turismo. Ma sappiamo bene che svendere la città e allontanare da essa il suo elemento costitutivo, la cittadinanza, non è la soluzione.

Il manifesto SET dello scorso aprile ha pertanto inquadrato gli aspetti critici comuni alle diverse esperienze locali: l’aumento della precarizzazione del diritto all’abitare, l’aumento del costo della vita, la trasformazione delle attività commerciali locali e dei servizi per i residenti in attività turistiche, la precarizzazione delle condizioni lavorative, l’ampliamento costante e spesso nocivo delle infrastrutture, la massificata occupazione di strade e piazze da parte del flusso dei visitatori, l’aumento dei tassi di inquinamento (rifiuti urbani, aerei, navi da crociera ecc.), fino alla trasformazione del centro storico in parco tematico. Tutto questo adesso diventa materia di discussione e di confronto in una densa tre giorni di incontri, dibattiti e tavole rotonde organizzata a Napoli dall’assemblea locale e dalla rete SET italiana. Giovedì 18, venerdì 19 e sabato 20 ottobre, discuteremo le varie modalità attraverso le quali il processo di turistificazione si declina nelle città italiane coinvolte, condividendo esperienze, strumenti e proposte da mettere in campo. Con noi ci saranno Salvatore Settis, Tomaso Montanari e Filippo Celata.

 
Condividi post
Repost0
9 ottobre 2018 2 09 /10 /ottobre /2018 00:36

Intervento  durante il Consiglio comunale dell'8 ottobre 2018 sul MM N. 71 /2018 Risposta alla mozione presentata in data 11 ottobre 2016 dai Consiglieri comunali Tiziano Fontana, Claudia Crivelli Barella, Daniela Carrara e Andrea Stephani sul tema “Pianificare Piazza del Ponte rispettando il contesto di elevato valore storico-culturale

 

Signor Presidente, signor Sindaco e signori Municipali, signore e signori Consiglieri comunali,

in via preliminare il gruppo dei Verdi chiede che il voto su questo messaggio sia fatto per appello nominale, poiché si ritiene che sia giusto che i cittadini-elettori possano sapere come ogni Consigliere Comunale voterà fra poco, tanto più che il rapporto di maggioranza prevede di votare a favore della mozione nei limiti enunciati nel rapporto preliminare del Municipio.

 

Nel merito, suddivido l’intervento in tre punti: 1) cosa vuole la mozione dei Verdi; 2) cosa vogliono i partiti e i Consiglieri Comunali contrari alla stessa e che presumo voteranno seguendo l’indicazione del Municipio; 3) cosa si potrà fare in futuro

 

1) la mozione chiede 2 cose:

a. di modificare il Piano particolareggiato di protezione del centro storico + suggerendo di inserirvi 11 fondi (di cui 5 di proprietà pubblica) oggi appartenenti al Comparto speciale “e” Piazza del Ponte;

b. di porre un vincolo quale zona attrezzature pubbliche (AP) con destinazione piazza/area di svago di interesse pubblico, suggerendo di applicarlo a 6 fondi, tutti di proprietà del Comune di Mendrisio;
 

sottolineo che, con la mozione, abbiamo suggerito di considerare certi fondi dopo aver studiato documenti di specialisti (ISOS, Perimetro di rispetto del Cantone elaborato dall’Ufficio dei beni culturali ecc.): evidentemente, come per tutte le varianti di PR, sarà il pianificatore del Comune ad analizzare la situazione e sarà l’Autorità politica a decidere la proposta di variante pianificatoria e, se del caso, la popolazione;  


tanto la richiesta di modifica del Piano particolareggiato di protezione del centro storico quanto quella di porre un vincolo quale zona attrezzature pubbliche (AP) con destinazione piazza/area di svago hanno lo scopo di dare normativamente una chiara e inequivocabile destinazione di area pubblica come piazza secondo una prospettiva unitaria, così da ristabilire una coerenza urbanistica attorno alla piazza del Ponte attuale e al contorno del nucleo storico, evitando che il futuro concorso urbanistico possa portare di nuovo a dover leggere quanto letto nel messaggio sulla variante bocciata dal referendum: «Il Collegio di esperti chiamato a valutare i progetti ha reputato che il concetto proposto dal gruppo condotto dallo studio di architettura Sergison Bates fosse quello in grado di dare complessivamente le risposte più convincenti sulle modalità con cui affrontare lo sviluppo urbanistico di tutto il comparto attorno a Piazza del Ponte, soprattutto per la forza della sua impostazione generale, caratterizzato dalla ricucitura del nucleo attraverso degli interventi in grado di contribuire in modo determinante a definire l'identità del Comune di Mendrisio per gli anni a venire».  Quell’identità era sottoscritta dal Municipio e dalla maggioranza del Consiglio comunale ma non è stata condivisa dalla maggioranza dei cittadini.

2) cosa vogliono i partiti e i Consiglieri Comunali contrari alla mozione?

- Il rapporto di maggioranza è chiaro: vuole lasciare la possibilità di edificare sul sedime dove ancora attualmente sorge lo stabile ex Jelmoli;
- il Municipio nel messaggio sostiene che «è ancora convinto che prima di procedere con una variante pianificatoria, che dia le basi per la realizzazione definitiva di Piazza del Ponte, si debbano avere tutti gli elementi necessari per determinarne i contenuti. Solo dopo un concorso urbanistico potranno essere acquisite e valutate le diverse visioni sulle quali impostare la pianificazione, mentre gli approfondimenti storici/urbanistici degli edifici di contorno della nuova grande Piazza, permetteranno di considerare in modo serio e completo i principi proposti dalla mozione».


Quindi Municipio e partiti che sostengono il rapporto di maggioranza vogliono avere libertà assoluta in merito alla futura pianificazione di Piazza del Ponte e non vogliono porre determinati limiti al concorso urbanistico, poiché il Municipio, nella risposta a una domanda formulata in Commissione, dice che «non è ancora chiaro quali saranno i limiti posti al bando di concorso». Ora, dopo una petizione e un referendum è preoccupante leggere simili dichiarazioni.


Del resto ricordo che dal 1986 ad oggi sono stati indetti tre concorsi di architettura o urbanistici: il concorso di idee nel 1986, il mandato diretto all’arch. Mario Botta nel 2005/6 e il mandato per uno studio di idee nel 2009, vinto dal team Sergison.
Ricordo anche che lo scopo di quest’ultimo concorso era «ottenere delle indicazioni progettuali per la sistemazione urbanistica di Piazza del Ponte e degli spazi adiacenti, con lo scopo di ricucire il nucleo di Mendrisio e di ridare “dignità urbanistica” all’intero comparto».
Se non si pongono limiti chiari, come quelli contenuti nella mozione, si corre il rischio di ricadere nelle medesime proposte pianificatorie del passato.   
 

3) cosa si potrà fare in futuro


I cittadini hanno manifestato le loro preferenze attraverso due strumenti democratici: la petizione "Per una Piazza del Ponte degna del suo nome" nel novembre 2007 (sottoscritta da 3’212 persone) e il referendum del 25 settembre 2016 (con 2'853 cittadini contrari alla variante); ora, se si dovesse constatare che le autorità proseguono come in passato, non si potrà che promuovere una iniziativa popolare comunale così si arriverà al punto finale e non si dovranno più ascoltare interpretazioni arbitrarie di cosa vuole la popolazione.


Tiziano Fontana CC i Verdi

Condividi post
Repost0
4 ottobre 2018 4 04 /10 /ottobre /2018 23:49
riprendo un interessante articolo di Carletti e Giometti tratto da eddyburg dedicato alla conservazione dei beni culturali, oggi dimenticata poiché si punta tutto sulla "valorizzazione" che altro non è se non distruzione programmata del valore culturale del bene, ridotto a merce di consumo: mentre manutenzione, restauro conservativo, conservazione non "rendono" né per la propaganda di politicanti senza cultura né per i tromboni della pseudocultura imperante.
 
Tiziano
 
Beni culturali, è l’intero sistema che crolla
 
di LORENZO CARLETTI E CRISTIANO GIOMETTI   
il manifesto, 1 settembre 2018

Era il 1957 quando Cesare Brandi, fondatore e per vent’anni direttore dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma, denunciava in Parlamento «l’assoluta inadeguatezza, ma nell’ordine di uno ad un milione, dei fondi a disposizione per il patrimonio artistico; l’insufficienza quantitativa del personale; la mancanza di una coscienza politica dell’importanza della preservazione del patrimonio artistico». Sessant’anni dopo, il grido di dolore di Brandi è tanto più attuale: dal 2000 al 2008 gli stanziamenti del ministero per i Beni e le Attività Culturali ammontavano ad una quota pari allo 0,3% circa del bilancio dello Stato, riducendosi negli anni successivi fino allo 0,19% (2014-2015). Soltanto nel biennio 2016-2017 si è registrato un incremento rispettivamente dello 0,26% e dello 0,25% del bilancio dello Stato, nonostante ciò le percentuali rimangono incredibilmente basse sia per la diffusione capillare di opere d’arte ed edifici storici nel territorio nazionale sia rispetto a quanto gli altri paesi europei investono in questo settore.

Richiamare queste cifre a seguito dell’ennesimo disastro potrebbe sembrare la più semplice delle risposte. Eppure quando il Mibact nel 2016, sotto la direzione del ministro Franceschini, ha proceduto all’assunzione di 500 funzionari (architetti, archivisti, archeologi, restauratori, storici dell’arte, promotori ed esperti di comunicazione, bibliotecari, antropologi e demoetnoantropologi) era ben consapevole che il numero di posti vacanti nelle soprintendenze era tre volte superiore. Inoltre, soprattutto nel caso degli storici dell’arte, ai neoassunti è stata data la possibilità di scegliere come destinazione uno dei venti grandi musei autonomi appena creati dalla riforma voluta dallo stesso Franceschini. E se ci si aggira per i corridoi di qualsiasi soprintendenza territoriale si notano uffici vuoti, stanze chiuse e pratiche accumulate sopra le scrivanie.

La scissione tra musei nazionali e patrimonio artistico del territorio e la gerarchizzazione tra musei di serie A (venti grandi istituzioni dagli Uffizi a Capodimonte, da Brera all’Accademia di Venezia) e di serie B (i tanti e preziosi musei nazionali delle città di provincia) è indubbiamente il nodo più delicato della riforma Franceschini e spiega molte delle ragioni dell’estrema difficoltà in cui versano i nostri beni culturali. Tale criticità va di pari passo con la tendenza ormai decennale di privilegiare la valorizzazione a scapito della tutela. Ciò che nel Codice dei beni culturali del 2004 veniva strettamente collegato (conoscenza-tutela-valorizzazione), vede oggi l’assoluto predominio della commercializzazione e del marketing culturale, che genera un’attenzione compulsiva su poche eccellenze lasciando nel buio tutto il resto.

È stato giustamente sottolineato che la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami era stata restaurata appena tre anni fa con un finanziamento pubblico (Lr 27/90) e assieme della Conferenza Episcopale Italiana di 747.621,40 euro, ma qualcosa non ha funzionato, anche nei controlli sui lavori eseguiti. Un po’ ovunque avremmo bisogno di restauratori esperti, cantieri seguiti da bravi funzionari di soprintendenza perché tanti sono i crolli o i disastri annunciati.

Non ha suscitato lo stesso clamore del caso romano, ma a Pisa nel 2015 è crollato parzialmente il tetto della duecentesca chiesa di San Francesco, che accoglieva, tra le altre, due tavole di Cimabue e Giotto oggi esposte al Louvre: incredibilmente a tre anni di distanza non sono ancora cominciati i lavori di restauro, la chiesa è puntellata, mentre anche il chiostro minaccia di andare in rovina.

Se oggi è la valorizzazione ad attirare la maggior parte dei finanziamenti, tutela e conservazione sono attività sempre più rare. Tutto il contrario di ciò che stabilisce il Codice dei beni culturali e del paesaggio secondo cui la tutela «è diretta a riconoscere, proteggere e conservare» un bene affinché possa essere offerto alla conoscenza e al godimento collettivi. Per tutelare un bene bisogna prima riconoscerlo come tale, operazione quanto mai difficile in un paese in cui la storia dell’arte, grazie alla riforma Gelmini del 2008 ed alla legge 107 del 2015, è quasi sparita dai programmi delle scuole secondarie. D’altronde, se si conoscono appena una decina di acclamati capolavori, quelli e quelli soltanto si vogliono vedere e dunque tutelare. Il resto può anche crollare.
Condividi post
Repost0
20 settembre 2018 4 20 /09 /settembre /2018 23:20

 

 

La salvaguardia e la conservazione di un paesaggio naturale o di un insediamento urbano medievale o ottocentesco, di un edificio di edilizia rurale o di architettura monumentale, di un parco storico o di un reperto archeologico non sono ispirate da rivendicazioni "elitarie, idealiste o nostalgiche", ma rispondono a un'esigenza essenziale, descritta magistralmente dallo storico dell'arte Tomaso Montanari: «la vera funzione del patrimonio non è assicurare il diletto privato di pochi illuminati volenterosi, ma alimentare la virtù civile, essere palestra di vita pubblica, mezzo per costruire uguaglianza e democrazia sostanziali».

In questa frase risiede la motivazione dell'azione concreta della Società ticinese per l'arte e la natura, fondata il 28 giugno 1908 con il nome di «Società ticinese per la conservazione delle bellezze naturali e artistiche » (STCBNA) da un gruppo di persone colte e preveggenti (che avevano già sentito questa necessità), tra cui Arnoldo Bettelini, Francesco Chiesa, Edoardo Berta, Luigi Vassalli, Americo Marazzi, Paolo Zanini, Silvio Calloni, Giuseppe Antognini, Giuseppe Chiattone, Mansueto Pometta, Antonio Barzaghi Cattaneo. Da allora la nostra associazione è intervenuta costantemente per la salvaguardia del patrimonio storico-culturale e naturalistico ticinese, riuscendo a proteggere molti monumenti e luoghi. Purtroppo, in altri casi, ha prevalso l'atteggiamento passivo o anche direttamente distruttivo di autorità comunali e cantonali nei confronti di questo nostro patrimonio, uno dei beni comuni di tutti i ticinesi.  

Quest'anno si celebra l'Anno europeo del patrimonio culturale, su decisione del Parlamento europeo in risposta positiva a una richiesta della Commissione europea, sollecitata in questo senso da EUROPA NOSTRA, l’organizzazione che raggruppa le associazioni nazionali europee dedite alla tutela del patrimonio storico-artistico, tra queste Schweizer Heimatschutz (Patrimonio Svizzero), della quale la Società ticinese per l'arte e la natura (STAN) è la sezione ticinese.

La STAN ha organizzato per questa ricorrenza quattordici visite guidate, ripartite su tutto il territorio cantonale e la conferenza[1] del Prof. Tomaso Montanari che si terrà il 24 settembre al Teatro sociale di Bellinzona – edificio salvaguardato anche grazie all'azione della nostra associazione –, per rispondere alla domanda al centro del programma nazionale "Salvaguardia del Patrimonio: perché? Per chi?". Abbiamo invitato il prof. Montanari poiché a competenza e cultura unisce passione civile. Inoltre, egli rifugge dalla retorica incoerente dei finti salvatori del patrimonio che, purtroppo, abbiamo dovuto ascoltare in alcune manifestazioni tenute durante questo anno celebrativo. Al di là dei proclami vi è una realtà caratterizzata da continui attacchi diretti e indiretti al patrimonio storico-artistico e naturalistico, tra i quali mi limito a citare: a livello nazionale il tentativo in corso di indebolire la legge federale sulla protezione della natura e del paesaggio con una revisione che minaccia l'impianto giuridico originario fondato sulla ricerca dell'equilibrio tra gli interessi federali e quelli cantonali; a livello di Cantone e Comuni l'opposizione a introdurre gli obiettivi di salvaguardia previsti dall'Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere (ISOS) nei piani regolatori, unico strumento per fermare il degrado urbanistico in atto da decenni.

Ci auguriamo che questo Anno del Patrimonio lasci in eredità una reale azione di protezione del patrimonio storico-artistico fondata su un'approfondita conoscenza, sui principi internazionali elaborati e adottati da svariati decenni in questo campo e sugli obiettivi di salvaguardia dell'ISOS.     

 

Tiziano Fontana, segretario della Società ticinese per l’Arte e la Natura (STAN)

 

 

 

[1] Prof. Tomaso Montanari, «Il valore civile del patrimonio culturale», Teatro Sociale di Bellinzona Lunedì 24 settembre 2018, ore 20:00; posti limitati: iscrizione presso: e-mail: carla.borradori@stan-ticino.ch  oppure t.: 091.751.16.25.

Condividi post
Repost0
15 settembre 2018 6 15 /09 /settembre /2018 00:15

 

Il prossimo 23 settembre votiamo a favore di due importanti iniziative popolari riguardanti l’agricoltura: "Iniziativa per alimenti equi" (promossa dai Verdi) e "Per la sovranità alimentare" (promossa dal sindacato dei contadini romando Uniterre)!

Entrambe vogliono un’agricoltura svizzera ed estera più sana per i consumatori e per l’ambiente. In comune hanno la volontà di sostenere lo sviluppo sostenibile e l’agricoltura regionale, condizioni di lavoro eque e dazi d’importazione; i Verdi chiedono, inoltre, un’alta qualità per i prodotti importati, un commercio equo, una migliore dichiarazione dei prodotti e l’adozione di misure contro lo spreco alimentare; Uniterre rivendica più aziende piccole, più agricoltori, più superficie agricola, il divieto di OGM (per il momento esso esiste ma viene prorogato ad ogni scadenza) e prezzi giusti regolamentati dallo Stato.

Il settore agricolo e l’agricoltura più in generale sono beni vitali per una società poiché forniscono la base alimentare e curano il territorio. Dovrebbero quindi essere oggetto di una politica accorta, volta a garantire la sovranità alimentare a ogni Paese e dovrebbero essere sottratti alle logiche mercantilistiche speculative e agli appetiti della finanza.

Vediamo a livello internazionale esattamente il contrario, con le ripercussioni che ci coinvolgono, direttamente o indirettamente: Stati e fondi di investimento (anche le nostre stesse casse pensioni, banche e assicurazioni) vanno a caccia di terre agricole (land grabbing) a livello internazionale (dall’Africa all’America latina, dall’Asia al cuore stesso dell’Europa), provocando, per esempio in Asia, America latina e Africa, l’espulsione di centinaia di migliaia di contadini che vivevano sulle terre demaniali ora privatizzate e che vanno così ad ingrossare le periferie delle grandi metropoli diventando emigranti forzati che cercano il futuro altrove, Europa compresa); nelle Borse si contrattano le produzioni agricole come merce qualsiasi, con speculazioni che conducono anche all’aumento dei prezzi; i grandi distributori spuntano prezzi stracciati ai produttori agricoli costretti a cedere perché abbandonati dallo Stato.

L’ideologia liberista oggi imperante e la conseguente politica applicata dal Consiglio federale che promuove la liberalizzazione dei mercati considera l’agricoltura come un qualsiasi altro settore economico e spesso essa viene sacrificata sull’altare degli “altri interessi superiori” (finanza, industria ecc.) nelle trattative di libero scambio. La politica settoriale federale favorisce le grandi aziende agricole che aumentano sempre più la loro estensione, a detrimento delle aziende di medie e piccole dimensioni che sono invece preponderanti nelle valli e nei Cantoni di montagna.  Negli ultimi 30 anni sono scomparse 35mila fattorie e 100'000 mila posti di lavoro.

Dinamiche mondiali, nazionali e regionali suggeriscono una svolta nell’approccio all’agricoltura, alle terre agricole, alla salute umana e al cibo. Queste due iniziative vanno in questa direzione.

La Svizzera del resto non è sola in questa via, poiché anche a livello europeo si muovono agricoltori e associazioni con la campagna «Good Food, Good Farming» per attirare l’attenzione sulla prossima riforma della politica agricola comune europea, che entrerà in vigore nel 2020. Si vuole ottenere una nuova PAC europea che sostenga i piccoli agricoltori e il mondo rurale, che non incida sul cambiamento climatico o sulla sofferenza degli animali e soprattutto che fornisca cibo sano per tutti. Ciò naturalmente include la protezione di suolo, acqua, ecosistemi e biodiversità.

Spetta a noi scegliere un futuro migliore, tenendo conto anche dei cambiamenti climatici in atto che porteranno a sconvolgimenti nel commercio internazionale dei generi alimentari.

 

Tiziano Fontana, consigliere comunale i Verdi

 

Condividi post
Repost0

Presentazione

  • : Blog di parcodivillaargentina.over-blog.it
  • : salvaguardare il Parco di Villa Argentina (Mendrisio) come bene comune; riflettere sul territorio e sul paesaggio del Mendrisiotto e sulla qualità di vita dei suoi abitanti
  • Contatti