Settimana scorsa vi è stata la presentazione del libro Un cielo blu genziana di Mattia Cavadini edito da Gabriele Capelli. Merita di essere acquistato e letto, magari stando seduti su un sasso o sul prato di uno dei luoghi descritti.
Si è trattato di una di quelle serate che rimane impressa nella vita di una persona, non solo perché abbiamo rivisto e risentito l'ultima intervista di Tita Carloni, fatta sulla sua montagna, il Monte Generoso, ma anche per le riflessioni udite formulate dai giornalisti Lombardi, Catti e in particolare dall'autore, Mattia Cavadini: mi sembra - per come ho potuto conoscere Tita - che abbia colto l'essenza della persona, dell'architetto, del "resistente". Il cameraman ha riferito dello stato d'animo di Tita in merito alle battaglie territoriali, come se avesse perso la speranza di fermare il disastro in atto.
Ricordo Tita nelle ultime riunioni del Comitato dei Cittadini per il territorio con una forza e una voglia di azione e di mobilitazione da trentenne e da persona non rassegnata, molto più movimentista e azionista di molte altre persone. Un esempio che non si dimentica.
Ma la perdita di Tita pesa come un macigno oggi anche per un altro motivo, ancora più importante: perché egli univa alla carica civile una cultura vasta approfondita vissuta che oggi (già ieri) manca a tanti paladini del territorio: le conseguenze le vedevo già negli scorsi anni ma erano attenuate dalla presenza di Tita, mentre dalla sua scomparsa emergono dirompenti.
Senza vera cultura anche la difesa del territorio diventa esercizio tecnocratico, legalista e utilitaristico. E rischia di fare danni quasi come quelli provocati dalla speculazione.
Tiziano
