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26 luglio 2011 2 26 /07 /luglio /2011 22:29

Visto che il dibattito sui beni culturali a Lugano prosegue, questa volta proponiamo il contributo che l'arch. Riccardo Bergossi ha scritto sul Corriere del Ticino del 19 luglio 2011. Merita di essere letto, come merita d'essere ascoltato quanto detto sempre dall'arch. Bergossi nel corso della trasmissione Demilition City dedicata da Falò a quanto sta avvenendo a Lugano: vi consigliamo di andare sul sito della RSI e rivedere l'intera trasmissione.   

Demolition City è fondamentale per capire lo scontro in atto: è uno scontro di due visioni dei beni culturali, della società, dell'economia, dell'essere umano.

 Infatti, stiamo assistendo a un vero scontro di civiltà (altro che quello proposto dal prof. Samuel Huntington!): gli edifici - palazzi, ville, giardini e parchi storici - creati dalla borghesia illuminata dell''800 e della prima parte del '900 sono distrutti senza sosta dalla doppia azione dell'ignoranza e della speculazione, in primo luogo degli amministratori locali e da qui la reazione della società civile a difesa di beni che sono veri e propri BENI COMUNI (si veda l'articolo che abbiamo pubblicato il 24 giugno 2011 dedicato al dibattito sulla Legge sullo sviluppo territoriale, in cui abbiamo ripreso un breve passaggio dell'interessantissimo articolo di Aldo Bertagni apparso su La Regione) . Su quest'ultimo concetto torneremo presto, con una riflessione (conclusiva?) sul dibattito luganese

 

 

"LA CITTÀ: IL NUOVO CONVIVE CON L'ANTICO

Il dibattito sulla trasformazione edilizia della città di Lugano ospitato dal «Corriere del Tici­no» sembrava dover terminare con l'intervista al sindaco pubblicata il 23 giugno. Così non è stato, le parole di Gior­gio Giudici hanno ispirato nuovi commen­ti. L'editoriale del 4 luglio dal titolo Un vol­to per una città che vive pareva aver mes­so il punto finale alla discussione, ma a sua volta ha avuto una coda. Il confron­to non vuole proprio estinguersi, segno che il tema è molto sentito: mi permetto quin­di di riallacciarmi al testo dell'editoriale.

Le valutazioni sull'aspetto della città di Lugano e gli auspici per la sua evoluzio­ne futura vi sono presentate con una inte­ressante pluralità di spunti: l'evoluzione urbana in Europa dalla nascita delle cat­tedrali attraverso il Rinascimento, l'Otto­cento, fino a oggi, la proiezione verso il fu­turo, l'umana nostalgia per il tempo del­l'infanzia e della gioventù e per i luoghi che a quelle hanno fatto da sfondo, infine la necessità di modernizzare la città, di adeguarla al mutare delle esigenze degli abitanti. L'esposizione articolata sulla con­trapposizione tra vecchio e nuovo rischia però di dare un'immagine in bianco e ne­ro dei processi di trasformazione urbana, mentre sono le tante gradazioni interme­die quelle che meglio si addicono a deci­frare le oscillazioni della storia.
Partiamo dalle cattedrali. Sono nate nel Medioevo, comunemente su edifici religio­si preesistenti modificati e ampliati, ma dei quali si mantenevano evidenti tracce. Quale sorpresa possiamo provare noi og­gi visitando per esempio il duomo di Sira­cusa, quando oltre l'imponente facciata barocca scopriamo le colonne doriche del tempio greco sul quale la chiesa si è inse­diata. La costruzione di ogni cattedrale si protraeva nei secoli, così anche San Lo­renzo di Lugano è un edificio romanico, con facciata cinquecentesca, cappelle ba­rocche, sagrato neoclassico, decorazione pittorica dei primi del 900, e la conviven­za dei linguaggi corrispondenti a diverse epoche ne costituisce un valore che si ag­giunge a quello intrinseco dei singoli ele­menti.
Come le chiese, nella città del Rinascimen­to i grandi palazzi sorgevano non al po­sto delle case medievali - che a loro volta erano le case dell'epoca romana trasfor­mate nei secoli - ma su queste, mantenen­done strutture murarie e perfino ambien­ti. Le città allora densamente edificate e cinte da mura non avevano spazi dispo­nibili per nuove costruzioni ed era quin­di d'obbligo operare sull'esistente. La pra­tica aveva anche una giustificazione eco­nomica: reperire i materiali da costruzio­ne era difficoltoso mentre per secoli le tec­niche costruttive sono rimaste le stesse: era quindi conveniente riutilizzare le preesi­stenze. Per fare un esempio concreto, la lu­ganese Villa Ciani, sorta nel 1840, nelle ir­regolarità della pianta, con sale ognuna dalle dimensioni differenti, mostra di es­sere frutto della trasformazione di un al­tro edificio, la casa dei Beroldingen. Ve­diamo, dunque, che fino ai primi decen­ni del 900 ogni intervento nuovo nella cit­tà storica era in verità un rinnovamento che conservava la sostanza muraria e con­templava il ricupero di elementi architet­tonici che venivano riutilizzati sul posto o altrove. A partire dalla rivoluzione del­le tecniche costruttive tra gli anni 30 e 40 del 900, invece, una nuova costruzione presuppone la completa cancellazione di ogni preesistenza fino a parecchi metri sot­to la quota stradale e oggi nulla viene ri­cuperato al momento della demolizione di un edificio.
Le città storiche in alcuni periodi si sono anche ampliate. Nel 500 esse sono state dotate di nuove cinte murarie munite di bastioni a difesa da un nuovo pericolo: l'artiglieria. Dall'Addizione Erculea di Fer­rara (1495-1510), la costruzione dei ba­stioni si rivelava l'occasione per estende­re la superficie urbana. L'urbanistica ba­rocca prevedeva allora le residenze dei principi con ampie piazze e giardini su queste nuove aree, mentre estensioni im­portanti non utilizzate erano attribuite ai conventi che con i loro orti venivano a fa­re corona intorno alla città storica. Suc­cessivamente, a cavallo tra l'800 e il 900, le città europee hanno avuto uno svilup­po mai conosciuto prima e hanno inco­minciato a espandersi all'esterno delle mu­ra, gradualmente abbattute. A fianco dei centri antichi erano edificati nuovi com­parti. La Torre Eiffel, citata nell'articolo come esempio del rinnovamento dell'im­magine di Parigi, è sorta su aree in prece­denza libere, e nasceva - ricordiamolo - come opera effimera, celebrazione dei tra­guardi raggiunti dall'ingegneria in occa­sione dell'Esposizione internazionale del 1889, ma destinata a essere smantellata, e solo in seguito è diventata uno dei sim­boli di Parigi.
Come nelle altre città, a Lugano i regola­menti edilizi hanno pianificato i quartie­ri nuovi sorti dalla fine dell'800 in modo ordinato attorno al borgo, costituiti da edi­fici dalle omogenee caratteristiche di di­mensioni e linguaggio architettonico, ca­se d'affitto nelle zone più prossime come via Lucchini e più oltre case uni o bifami­liari con giardino. Questo piano di svilup­po, arrivato a compimento in circa 40 an­ni, dopo la guerra è saltato per l'impulso edilizio catalizzato dalla crescente specu­lazione, non imbrigliato dai nuovi piani regolatori. Il risultato è la Lugano odier­na, congestionata e disordinata. Trent'an­ni fa, quando incominciava l'urbanizza­zione del Pian Scairolo, si stava allesten­do il piano regolatore adesso vigente. Al­lora per Lugano sarebbe stato possibile fermare la distruzione delle aree intorno al centro e indirizzare la domanda di su­perfici per il terziario - banche in primis - verso un nuovo quartiere in prossimità del collegamento autostradale, coinvol­gendo nel progetto committenti e archi­tetti. Un'occasione perduta. Inoltre, l'area del piano, povera di architetture interes­santi o anche solo mediocri, ci dimostra che i criteri di pianificazione che ne han­no guidato lo sviluppo funzionano per la città nuova ancora meno bene che per la città storica. Tra qualche anno sorgerà il nuovo quartiere di Cornaredo: è auspica­bile indirizzare là la crescita e dare tregua alla Lugano storica. In che modo questa potrà essere migliorata? Non sono estem­poranee idee folli quelle che consentiran­no di dare un futuro brillante a Lugano, ma la sostituzione dei piani regolatori ca­ratterizzati da grandi aree dagli indici di costruzione elevati con piani particola­reggiati più parsimoniosi. Lo studio siste­matico della situazione attuale è la base per disegnare un ordine ora carente con lo strumento del concorso d'architettura e permettere all'edilizia storica di convi­vere armoniosamente con quella nuova. Eccoci infine al tema all'ordine del giorno a Lugano, dove un pezzo per volta gli edi­fici storici sono sostituiti da fabbricati nuo­vi dalle dimensioni molto maggiori. Ma mentre le case distrutte presentano un va­lore architettonico mediamente elevato (parole di Bernhard Furrer sulla NZZ del 3 giugno) ciò che ne prende il posto è in al­ta percentuale un'edilizia banale che sem­bra avere come prima e unica ambizione quella di sfruttare al massimo e a costi con­tenuti le possibilità edificatorie concesse dalle leggi edilizie. Può darsi che il bello e il brutto nelle costruzioni siano soggettivi (ma se così fosse non servirebbero più gli architetti). Il banale è però oggettivamen­te riconoscibile: manca, infatti, di ricerca architettonica e presenta una standardiz­zazione estrema dei dettagli, dei materia­li e delle stesse soluzioni abitative. L'esi­genza di istituire una tutela su alcuni edi­fici storici è sentita. Contrastare il deside­rio di conservazione dicendo che la città va lasciata svilupparsi e non deve essere imbalsamata, preoccupazione che si evin­ce anche dall'editoriale con i riferimenti al Rinascimento eccetera, avrebbe un si­gnificato se Lugano fosse rimasta in tutto e per tutto com'era 100 o più anni fa, cosa che in verità non è accaduta nemmeno a Venezia o a Berna. Invece a Lugano il rap­porto tra gli edifici costruiti prima e dopo la guerra è a occhio e croce quello di Ber­lino, città che è stata quasi rasa al suolo per i bombardamenti; di certo a Milano, che è stata molto danneggiata dalle incur­sioni aeree del 1943, la percentuale di edi­fici d'anteguerra è ben più alta che qui. Inoltre, troppi monumenti luganesi che dovevano essere conservati sono stati già distrutti da molti anni, e penso agli edifi­ci prenovecenteschi: i conventi trasforma­ti come il Venezia e le Scuole, l'Asilo vec­chio con le antiche case di piazza Ciocca­ro, l'Ospedale di Santa Maria, l'Albergo Svizzero, le case settecentesche di via Nas­sa e di via Peri, il Castello di Trevano, ma anche le grandi ville dei primi del 900 che rappresentavano il meglio dell'architettu­ra di quell'epoca: Villa Florida, Villa Apo­stoli in riva Caccia, le due ville Soldati una al ferro di cavallo e l'altra a Loreto, ai gran­di alberghi sul lago come il Lloyd e il Park Hotel ed è meglio fermare qui l'elenco.
Che la città di Lugano si impegni ora per conservare, tra le migliaia di edifici del suo parco immobiliare, quei 120 circa ai qua­li gli esperti dell'Ufficio cantonale dei be­ni culturali attribuiscono un valore stori­co architettonico notevole, è veramente una piccola cosa e non ha niente a che fa­re con la nostalgia: è un'operazione cultu­rale, inderogabile". 
BERGOSSI RICCARDO


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