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2 giugno 2011 4 02 /06 /giugno /2011 00:00

Riprendiamo e pubblichiamo un articolo del prof. Renato Martinoni apparso sul Corriere del Ticino del 18 maggio 2011 dedicato al Locarnese, allo sviluppo urbano, al turismo e al paesaggio: utile per la riflessione che stiamo facendo.

 

 

LA «PROGETTUALITÀ» E IL DEGRADO URBANISTICO NEL LOCARNESE

 

Una persona a me molto ca­ra mi ha detto l'altro gior­no: «Quando mi chiedono dove abito, e devo dire Mi­nusio, me ne vergogno». Ohibò, mi è venuto di pensare. Quando io avevo l'età di questa persona, il nome di «Mi­nusio» veniva pronunciato con una certa fierezza. Significava vivere in un paese tranquillo, ancora ragionevol­mente verde di prati, privo di palazzi­ dormitorio e di gente che si incontra soltanto al supermercato, fiero di al­cune sue tradizioni e via di seguito. Chi transita oggi per la via principale del paese, però, si vede circondato da una fitta foresta cementificata fatta di palazzine, distributori di benzina, of­ficine e garage, piazzali asfaltati e ci­miteri, ... una più attenta, seria e rispettosa attenzione nell'allestimento dei piani urbanistici, del loro rispetto, e delle regole le più elementari del buon gusto, e, perché no?, di principi che ap­partengono alla tradizione culturale, e dell'equilibrio architettonico, potreb­bero senz'altro attenuare il disordine inaccettabile che stiamo erigendo e il caos estetico e urbanistico che inevita­bilmente ne consegue.

Una persona a me molto ca­ra mi ha detto l'altro gior­no: «Quando mi chiedono dove abito, e devo dire Mi­nusio, me ne vergogno». Ohibò, mi è venuto di pensare. Quando io avevo l'età di questa persona, il nome di «Mi­nusio» veniva pronunciato con una certa fierezza. Significava vivere in un paese tranquillo, ancora ragionevol­mente verde di prati, privo di palazzi­ dormitorio e di gente che si incontra soltanto al supermercato, fiero di al­cune sue tradizioni e via di seguito. Chi transita oggi per la via principale del paese, però, si vede circondato da una fitta foresta cementificata fatta di palazzine, distributori di benzina, of­ficine e garage, piazzali asfaltati e ci­miteri, vari cimiteri, zeppi di auto d'oc­casione, manifesti pubblicitari e scrit­te sui muri («il potere è spazzatura», dice una di esse). Sembra di essere nel­la periferia di una grande città (che qui però non c'è, né di fatto né nei pro­getti): mancano soltanto ancora i ven­ditori di kebab. Per molti anni il bi­glietto da visita è stato distribuito ai passanti da un'alta gru arrugginita, ri­masta ben piantata a ricordare un abuso edilizio. Tolto a fatica l'ossuto scheletro di metallo, e mai del tutto ri­solto l'illecito, cioè chiamate le ruspe a grattare via il sovrappiù, si è continua­to a rapallizzare il territorio. E il risul­tato (anzi: i risultati, dato che il gioco continua), è sotto gli occhi di tutti.
Non vorrei essere scambiato per un «andeghèè», cioè per un passatista. Sa­rebbe la formula più comoda per la­varsene le mani. Né penso in alcun mo­do - parlando di Minusio, paese che continuo ad amare, o indirettamente del suo Municipio (di cui ho rispetto e stima) - di voler colpire un luogo di­menticandone altri non meno votati al disastro urbanistico. Capisco benis­simo che il mondo non è né può esse­re un museo e che nessuna campana di vetro lo salverebbe dal disastro e dal ciarpame. So che dietro l'edilizia, e al suo entourage, c'è molta gente che la­vora, che ha il diritto di vivere, se pos­sibile bene, e tutto il resto (so anche, va da sé, che ci sono gli speculatori, magari travestiti da ecologisti, o da pa­ladini delle regole civili, più spesso pe­rò da populisti; e i palazzinari, archi­tetti e costruttori; e gli avvocati che ci fanno la cresta; e che il territorio, spe­cie laddove si riduce sempre più, di­venta una torta golosa da spartire: con le buone o con le cattive, con le pacche sulle spalle o con le bustarelle).
Ma tutto questo non basta per non do­ver aggiungere qualche necessaria ri­flessione. Diviso in tante parrocchie, tante quante sono i suoi campanili, e non sempre governato da politici al­l'altezza del loro compito, il Locarne­se è zona naturalisticamente molto bel­la. Basta guardare, chiudendo gli oc­chi su tutto il resto, il suo lago, il del­ta, le coste rivierasche e le sue monta­gne (e naturalmente le luci, le atmo­sfere, il clima). È in virtù di questa si­tuazione che, con il tempo, si è trasfor­mato in luogo turistico. E il turismo, non poteva essere altrimenti, è diven­tato uno dei motori dell'economia lo­cale. Ora, il turismo vuole le sue attrat­tive. Questo significa che le autorità politiche, e chi ha il compito di occu­parsi del territorio, del suo assetto ur­bano e regionale, e del rispetto delle re­gole della decenza, devono impegnar­si per evitare che l'interesse privato, o le disattenzioni, o peggio le conniven­ze, o il cattivo gusto, abbiano il soprav­vento e continuino a produrre gli esem­pi negativi che sono sotto gli occhi di tutti. Fino a quando basteranno il la­go, e le sue sponde, e le montagne, e le luci, cioè i regali della natura, e i grot­ti, e l'immagine della «Sonnenstube»? E quando inizierà, il turismo, sciocca­to dalle malefatte dell'uomo, ad aver­ne abbastanza? È un discorso, questo, che vale per l'oggi e soprattutto per il domani: quando chi verrà dopo di noi sarà portato a chiedersi come è potu­to capitare quello che è capitato. Non si tratta, lo ripeto, di combattere con­tro i mulini a vento: il progresso è pro­gresso e non può né deve essere frena­to. Tuttavia, una più attenta, seria e rispettosa attenzione nell'allestimento dei piani urbanistici, del loro rispetto, e delle regole le più elementari del buon gusto, e, perché no?, di principi che ap­partengono alla tradizione culturale, e dell'equilibrio architettonico, potreb­bero senz'altro attenuare il disordine inaccettabile che stiamo erigendo e il caos estetico e urbanistico che inevita­bilmente ne consegue. Ciascuno, va da sé, avrà le proprie giustificazioni. Ma tutti abbiamo delle responsabilità. C'è una parola, fra l'altro, che si sente spes­so in bocca ad alcuni politici locarne­si: «progettualità». Pensavo di cono­scerne il significato. Ma, guardando­mi intorno, temo purtroppo di avere capito male.
 

RENATO MARTINONI
professore all'Università di San Gallo

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