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10 settembre 2018 1 10 /09 /settembre /2018 21:14

 

Comunicato stampa de I VERDI di Mendrisio

su  VALERA

Le indiscrezioni apparse sulla stampa in merito al possibile contenuto della pianificazione futura di Valera discussa durante l’incontro tra il Direttore del Dipartimento del territorio e il Municipio di Mendrisio lasciano i VERDI esterrefatti!

La proposta di estendere 1) la zona attrezzature ed edifici di interesse pubblico con un polo regionale sportivo a Valera e, parallelamente, 2) l’area industriale in zona San Martino al posto della piscina va contro i disposti costituzionali che invitano a un uso parsimonioso del territorio, alle scelte della popolazione svizzera che ha approvato la modifica della Legge federale sulla pianificazione del territorio nel 2013, approvata anche in tutti gli ex Comuni oggi facenti parte di Mendrisio!, e costituisce un insulto agli oltre 6000 cittadini che hanno sostenuto la petizione “Restituiamo Valera all’agricoltura”, promossa dalla Società agricola del Mendrisiotto, su suggerimento di un membro dei VERDI, e fortemente sostenuta dai VERDI.

Se lo scenario presentato nell’articolo di oggi sul Corriere del Ticino dovesse corrispondere alla proposta definitiva che il Dipartimento del territorio formulerà con il Piano di utilizzazione cantonale i VERDI non potranno che contrastare una simile soluzione: il Mendrisiotto sprofonda nel cemento, nell’inquinamento dell’aria, nel traffico e nella distruzione del suolo, un bene primario che è stato mercificato in modo criminale in questi ultimi cinquant’anni !

I VERDI si sono opposti alla proposta pianificatoria avanzata dal Municipio di Mendrisio all'unanimità (PPD, PLR, Lega dei ticinesi e Insieme a sinistra) nel 2013 perché favoriva in modo smaccato gli interessi dei due principali proprietari privati dell’area di Valera (questi ultimi legati ai due principali partiti politici che guidano Mendrisio da decenni), proponendo tra le varie misure la possibilità di costruire «in via eccezionale (…) un edificio a torre con un'altezza minima di 50 m e massima di 70 m dal carattere marcante e significativo» (!): i VERDI non possono ora accettare estensioni di insediamenti industriali in zona San Martino o di zona AP/EP a Valera

la partita che si sta giocando a Valera è uno scontro tra due visioni del rapporto uomo-ambiente: l'una predatrice e distruttrice; l'altra di cura del territorio, dettata da consapevolezza ecologica per la quale noi VERDI continueremo a impegnarci e batterci ad oltranza!

 

 

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16 agosto 2018 4 16 /08 /agosto /2018 00:05

Sul turismo di massa che distrugge luoghi e patrimonio culturale abbiamo già pubblicato. Ripropongo un bel contributo di Meneghetti tratto da eddyburg.

domenica 7 gennaio 2018

Carla Ravaioli aveva ragione di Lodo Meneghetti   

Sulle pagine milanesi dei quotidiani è riapparsa la questione del turismo, da una nebbia padana che non ha potuto nascondere le stolidezze che dicono o fanno gli amministratori pubblici (la bandiera nera spetta per una parte alle arie dei lavori per la nuova linea della metro, per un’altra al patto illegittimo per il riutilizzo degli scali ferroviari. Al turismo bandiera gialla).

Già alla fine di settembre 2017 il sindaco vantava grandi conquiste con sorprendente imprecisione: sette milioni di visitatori nell’anno, la notizia di un giorno; superamento degli otto milioni quella di un altro appena successivo. E «gli pare» che Milano batterà Roma; vittoria che «per l’economia e la reputazione di Milano è fondamentale». Tutti capiscono che il nostro spara palle di grosso calibro per abbattere la vecchia capitale reale, così che appaia più alta la capitale economica (non morale, con tutta quella ’ndrangheta che l’accompagna). Un assessore romano risponde che Roma sconfigge Milano 14 milioni a 7. Statistiche provenienti da La Stampa - Secolo XIX indicano che la capitale disperata resta pur sempre la regina di bellezza per italiani e soprattutto stranieri, 20 milioni gli arrivi e 40 le presenze nell’ultimo anno: incredibile dictu audituque? Ad ogni modo, fossero anche molti di meno, mostrerebbero la predominanza delle visite dette «mordi e fuggi» per additare un turismo rientrante nel grigio sistema del consumo di tipo culinario, anziché nella grande conca della cultura generale e dell’arte.

Ugualmente Venezia. Da molto tempo le quantità (anche decisamente inferiori a quelle segnalate da istituzioni, da enti pubblici e privati, da amanti appassionati - etiam nos) paiono insopportabili dalla città storica - come fosse una persona tanto fisicamente fragile - con l’osteoporosi diffusa per cause persistenti dalla fine del XVIII secolo; ma dalla seconda metà del XX concentrata nella corporeità del torso, al limite della frattura, eppure selezionato dalle agenzie turistiche per darlo in pasto a irresponsabili grappoli umani: sarebbero questi a morsicare le ruskiniane pietre prima di fuggire? L’isola veneziana deve fronteggiare la parte gravosa dell’assalto al territorio comunale, tuttavia forse inferiore all’attesa preoccupata se crediamo ai numeri dell’annuario municipale dell’anno 2016. Infatti: riguardo all’intero comune si sarebbero registrati 4 milioni e mezzo di arrivi e 10 milioni e 200.000 presenze turistiche (cifre arrotondate); nella città storica i primi e le seconde si riducono al 60÷70 per cento, ossia rispettivamente a circa 2.800.000 e a 6.800.000: però in uno spazio urbano di meno che 50.000 residenti, spazio e abitanti fissi ancor più ridotti, fin quasi a zero secondo l’ipotesi di concentrazione in quel torso.

Esposti disciplinatamente i dati numerici, quanto sicuri non sappiamo, li accantoniamo riconoscendogli un peso generico assoluto ma non la capacità di raccontarci la realtà degli accadimenti nelle città malversate dal turismo. Sì, è così, il turismo nella maniera d’oggi e del passato prossimo è malversazione, Carla Ravaioli ce lo ha spiegato una dozzina di anni fa con l’articolo in eddyburg Il turismo inquinante (11 aprile 2005), da noi rilanciato dopo pochi giorni con Coraggiosa Carla Ravaioli (22 aprile 2005), entrambi ricordati da Salzano insieme al fondamentale quasi saggio di Luigi Scano Turismo insostenibile, 8 dicembre 2006 [1]. Niente è cambiato da allora.

Il turismo di folla, lasciato allo sfruttamento liberistico dai governanti, dallo stato al piccolo comune, o, peggio, profittato direttamente da questi per risanare i bilanci e diminuire i debiti, inquina con la propria impronta contro-culturale ogni ambito della vita, le città e il territorio; una maniera che seziona il 10÷20 per cento dei beni culturali, artistici, paesaggistici in conformità alla convenienza dell’azienda o dell’ente, li delimita teoricamente e materialmente, li spreme, li schiaccia, li tagliuzza, ne riduce il valore mentre aumenta il consumo di gruppo (gruppone); ossia ne cava il massimo di produttività quindi di incasso. L’80÷90 per cento è destinato all’avvilimento, se non al degrado, all’abbandono, infine al disconoscimento. A meno che si tratti di coste marine, montagne, laghi, colline che quanto più si estendano, si invadano e si denaturalizzino tanto più generano il compiacimento di massa per vacanze e divertimenti stagionali, intanto che la conquista della seconda casa in proprietà permanente ha soddisfatto o soddisfa in avvicendamento oltre cinque milioni di famiglie: in tutto questo risiede per Carla Ravaioli il peggio dell’«inquinamento turistico».

Seguirà l’invettiva di Luigi Scano verso azzardate soluzioni per la sua Venezia, del resto epitome al cubo del falso daffare e dei veri affari di politici, amministratori, manager pubblici e privati in tutte le città storiche. Scontata l’attenzione agli interessi dei pochi residenti, ben più decisivo sarà il principio «di non ledere, se non marginalmente e inavvertitamente [quelli] arroccatissimi e fortificatissimi delle categorie, delle sotto-categorie, dei gruppi, dei soggetti, individuali e societari, che, per lucrare sulla funzione turistica della città storica di Venezia e della sua Laguna, da anni e da decenni stanno, come locuste predatorie e voraci, sfregiando, sconciando, divorando, consumando l’una e l’altra». Eppure restano ai veri amici, piccola minoranza di conoscitori e amatori, le parti, non poche, trascurate dalle locuste; fortunatamente, vien da dire, giacché resistono riservate ad essi, cui raccontano la loro storia umana e sociale e la connaturata bellezza, ormai estranee agli intontiti residuali abitanti.

Dicevamo della grande conca della cultura generale e dell’arte. Il turismo ufficiale contabilizzato che ne è fuori non vi rientrerà mai senza un rivolgimento sociale. Le masse guidate da un’azienda o da un ente pubblico verso quel 10÷20 per cento dei beni adatti o adattati a cavarne un plus-profitto applicando gli stessi metodi storici del capitalismo nell’utilizzo del lavoro, restano prigioniere della loro ignoranza così come gli operai restavano prigionieri della loro povertà. Se Venezia ne è testimone, Milano ne è primatista. Ne consegue d’altra parte un ostacolo ai desideri e alla libertà delle persone colte o propense a valersi del cervello e del cuore per continuare l’autoformazione e, attraverso la percezione dell’elevatezza dell’arte, goderne l’effetto di puro piacere e di elevamento del sé.

Prima di tutto: niente scalfisce il dominio del turismo commerciale. L’abbiamo mostrato nell’articolo La contesa degli identici a Milano, madre della compravendita [2]. E siccome nel gigantesco ruotante sistema delle entrate e uscite relative agli spazi commerciali i capitali della ‘ndrangheta si puliscono e si legittimano coprendo almeno il 25 per cento dell’intero affare (secondo la Procura milanese), ne desumiamo ancora una volta con Carla Ravaioli che li turismo milanese è intriso di mafiosità.

L’ente che indirizza le masse e ne ricava profitto forse più di ogni altro è la curia. Le indirizza verso la visita del Duomo e le governa nell’acquisto del biglietto, nell’ingresso, nell’uso dei sevizi igienici (costruiti addosso all’angolo meridionale della facciata). Uno spettacolo spiacevole che supera quant’altri ne esistano riguardo all’accesso «turistico» di altre cattedrali, anche una San Marco, o una San Pietro… Come bestiame incanalato mediante transenne metalliche in un percorso ritorto più volte, le si conduce anziché al macello alla biglietteria o ai servizi, poi a uno dei portali, adesso l’ultimo a destra dei cinque della facciata.

Sembra logico che per aumentare l’introito sia utilizzata e messa in risalto, dirimpetto al fianco destro della chiesa (guardando la fronte), la vecchia entrata al museo per accedere al nuovo Duomo Shop, punto di vendita ufficiale della Veneranda Fabbrica. L’allestimento commerciale si incentra sulla grande sala viscontea colonnata, alcuni anni fa esposizione di importanti testimonianze della signoria. Il museo, per dar spazio allo shopping, è stato spinto all’indietro nel corpo del Palazzo Reale, è accessibile dalla piazzetta del palazzo e a sua volta diventa un altro passaggio al magazzino di vendita [3].

Non siamo troppo scandalizzati per la gestione turistica della curia profittante dell’enorme richiamo in Italia e all’estero del Duomo e della piazza. È innegabile l’indirizzo commerciale prevalente rispetto alle domande della cultura. Che la manutenzione della cattedrale richieda un mucchio di quattrini è vero ma, di questo passo e generalizzando una condizione che non è soltanto milanese benché quest’ultima sia in testa alla classifica, dove verrebbe cacciata se non nella discarica delle buone idee e azioni la possibile mobilitazione politica e delle quasi-classi minoritarie consapevoli dell’ingiusta distribuzione delle risorse pubbliche?

Una divisione che rispecchia l’essere attuale del capitalismo italiano. Magari a scapito di più convenienti rese sociali futuribili, per un lato punta forte sulla speculazione (finanziaria, edilizia, commerciale), per un altro conduce una «nuova» lotta di classe per contrastare lo sviluppo delle classi operaia e media [4]: infatti, prende le iniziative più adatte a impedire la costituzione di risorse, nei bilanci economici dello stato e di ogni altra istituzione, che possano favorirlo. Così il potere capitalistico coarta tutte le funzioni che devono appartenere ai diritti sociali e popolari: la scuola, l’università, la ricerca sia scientifica che umanistica; deve diminuire costantemente, in proporzione e in assoluto, il sostegno pubblico delle arti, della musica, della cultura in generale, il sostegno di ogni popolazione e persino delle singole persone che aspirino alla conoscenza. La lotta anticapitalistica delle classi subalterne, che non sono affatto scomparse, comprende la riconquista di questi diritti.

Vi rientra, non è una forzatura affermarlo, anche il diritto di godere l’effetto di una visita esauriente, preparata e orientata, del Duomo di Milano sull’intelligenza e sul sentimento!

 

Il municipio con gli assessorati e altre istituzioni pubbliche o pubblico-private, dal momento dell’avvento del centrosinistra succeduto all’amministrazione del sindaco Letizia Brichetto Moratti, ex ministro dell’università e ricerca scientifica, ha in sostanza confermato una politica culturale frammischiata col turismo. Siccome quest’ultimo, come si è visto, trionfa dentro all’incessante ciclo della compravendita, le istituzioni indirizzano le masse aspiranti a conoscere i beni artistici e culturali della città allo stesso modo, cioè secondo la maggior resa economica.

Per questo «servizio» funziona oggi Milanoguida, un’organizzazione che propone con largo anticipo visite guidate a pagamento (biglietto d’ingresso più accompagnatore-narratore) in primo luogo alle mostre, poi a qualcuno dei complessi storici monumentali. Enorme lo squilibrio numerico delle visite offerte fra le prime e i secondi, peraltro scelti, quest’ultimi, secondo criteri inadeguati rispetto alla grandezza della dotazione milanese. Dev’esserci una specie di virus che infetta i decisori occulti per le visite d’arte e i relativi aspiranti. Infatti persiste inguaribile e diffusa la malattia denominata Frida Kahlo. Insomma, per una nuova mostra delle pittrice messicana (3 febbraio - 3 giugno 2018, Milanoguida vanta già ora 18 esauriti delle 31 visite guidate previste nel mese di febbraio (prezzo tout compris 22 euro). Per capirci senza altre discussioni: nello stesso mese, finora Sant’Ambrogio non ottiene alcuna indicazione mentre ha ospitato a gennaio due sole visite guidate. Per chiudere con un altro dei tanti esempi possibili riguardo agli squilibri che è la stessa politica a-culturale di Milanoguida a provocare: Santa Maria della Passione, la seconda chiesa di Milano per dimensione dopo il Duomo, magnifica l’architettura, bellissimi il decoro e le opere d’arte, unica la contrapposizione di due famosi organi del ’500-‘600 ai lati del presbiterio, dotati di ante dipinte e protagonisti di concerti in duo, non è stata selezionata per visite di gennaio e presenta una sola segnalazione per febbraio [5].


[1] Qui riportiamo il dato giornalistico di 12 milioni di visitatori annui. Che sarebbero diventati 20 secondo scritture o parlate dei giorni nostri.
[2] In
eddyburg, 21 aprile 2016.
[3] L’incentivo all’acquisto avviene rivolgendosi direttamente e paternamente al visitatore: «Potrai immergerti in un percorso coinvolgente e unico, suddiviso per tematiche ed esperienze: dal design all’abbigliamento e gli accessori, passando da oggetti per la casa, libri e souvenir originali e di qualità, presentati in modo suggestivo e attraente». Davvero un emporio in linea con il miglior consumismo.
[4] Vedi: Luciano Gallino,
La lotta di classe dopo la lotta di classe, Intervista a cura di Paola Borgna, Laterza, Roma-Bari 2012.
[5] Tutt’altra levatura culturale, generale e specialistica, presenta un’intraprendenza estranea alla macchina organizzativa di Milanoguida. La denominazione: Iniziative culturali di Pierfrancesco Sacerdoti, di Google Gruppi. Sacerdoti è un giovane architetto conoscitore, entro una competenza complessa di architettura e di arte, delle testimonianze milanesi a partire dall’eclettismo ottocentesco fino all’attualità, attraversando il Liberty, il modernismo e il Novecento, il razionalismo, la nuova critica post-razionalista e le contraddizioni dell’attualismo internazionaliste. Su queste basi egli conduce piccoli gruppi di cittadini, magari in bicicletta nelle buona stagione, alla scoperta di una città poco conosciuta o in ogni modo non esibita secondo l’effettiva qualità delle opere che la contraddistinguono.
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15 agosto 2018 3 15 /08 /agosto /2018 23:25

anche in Svizzera e Ticino le Grandi Opere trovano consenso trasversale, politico, istituzionale, imprenditoriale ecc. con costi per la collettività enormi e somme ingenti per la manutenzione.

per esempio bisognerebbe fare il conto di tutte le spese dirette e indirette che le strade comportano: costruzione, manutenzione ordinaria e straordinaria, infrastrutture secondarie (marciapiedi, piste ciclabili, ecc.). ; del resto i crediti per la manutenzione stradale concessi in Gran Consiglio sono stati definiti insufficienti dagli esperti e dai politici stessi …

AlpTransit , che ha comportato la distruzione di ettari di terre agricole fertili, non doveva servire a togliere autocarri dall'autostrada? non lo ha fatto …

dopo la tragedia avvenuta a Genova sono sorti dibattiti accesi; propongo un contributo di Paolo Berdini perché contiene elementi di riflessione importanti, che vanno anche al di là del caso italiano.

Tiziano


il manifesto
CITTÀ E TERRITORIO. DA 7,3 A 2,2 EURO A KM LA SPESA PER LA MANUTENZIONE
di Paolo Berdini

 
«Infrastrutture. La manutenzione della rete capillare che fa vivere il sistema Italia è stata cancellata dalle politiche dei tagli di bilancio. Non c’è comune italiano che abbia le risorse per la cura ordinaria e straordinaria del proprio patrimonio infrastrutturale»

Le città e i territori costano. Bisogna costruire infrastrutture, ponti, servizi. Bisogna poi tenere in vita e in sicurezza quelle opere. Servono risorse umane ed economiche. Nella storia delle nostre città e dei territori questa legge ineludibile è stata sempre rispettata. Il sistema della manutenzione era un elemento prioritario della vita nazionale e c’erano le istituzioni pubbliche che presidiavano quella fondamentale funzione. L’Upi, Unione provincie italiane afferma che la spesa per chilometro (ci sono 152 mila chilometri di strade regionali e provinciali) in pochi anni è passata da 7,3 a 2,2 euro a chilometro. Nulla.

La manutenzione della rete capillare che fa vivere il sistema Italia è stata cancellata dalle politiche dei tagli di bilancio. Non c’è comune italiano – si può’ affermare con certezza – che abbia le risorse per la manutenzione ordinaria e straordinaria del proprio patrimonio infrastrutturale. Servirebbero somme imponenti. Lo sviluppo lineare della rete stradale comunale supera il milione di chilometri. Sicurezza e decoro della vita di tutti i cittadini necessiterebbero di alcune centinaia di miliardi di euro. Ci sono soltanto tagli.

Il ponte di Genova non era un’opera minore. Era un’infrastruttura nevralgica del sistema paese. Evidentemente la follia liberista non si è fermata alle opere minute. E’ dilagata in ogni settore, comprese le opere affidate in concessione, come il sistema autostradale italiano. E mentre l’imponente sistema nazionale va in rovina continua l’assedio per costruire altre opere stradali. Domina una cultura imprenditoriale che comprende solo i processi incrementali e non si occupa del tema della manutenzione gettando il paese intero in un pericolosissimo vicolo cieco. E’ la stessa logica perversa che sta facendo marcire un immenso patrimonio immobiliare pubblico in ogni luogo urbano poiché non ci sono risorse per rimetterlo in vita. Evidentemente qualche potentato immobiliare o finanziario vuole acquisirlo a poco prezzo impoverendo tutti i cittadini.

La manutenzione attiva viene disprezzata a confronto della cultura del “nuovo”. Un tragico errore. Non c’è giorno in cui un chiacchiericcio insopportabile ci dice che il futuro è in concetti fumosi come le smart city. Penso con dolore di fronte a tante vite umane distrutte, a quali prospettive per le più innovative aziende e per i giovani potrebbero diventare realtà avviando l’istallazione di sensori che tengano sotto osservazione tutti i ponti stradali esistenti ponendoli a sistema attraverso tecnologie satellitari. Anas ha in programma di realizzare un tale sistema sui suoi 12 mila viadotti ma bisogna passare all’immenso patrimonio diffuso di 50 mila viadotti, molti di vecchia concezione. Servono centinaia di miliardi.

Facile a dirsi. Difficile a farsi in tempi di scomparsa del concetto di Stato e di assenza di risorse pubbliche.

Solo tre esempi. Un decreto ministeriale del 2001 prevedeva la costituzione del catasto della rete stradale italiana, opera prioritaria per poter programmare. Non è stato fatto nulla e per sapere qualcosa dobbiamo ricorrere a studi di Unioncamere.

Dopo ogni terremoto si sentono le solite chiacchiere. Intanto non è ancora avviato un concreto piano di messa in sicurezza del patrimonio edilizio esistente e il recente terremoto dei monti Sibillini ha finanziamenti modesti. Un intero territorio montano è abbandonato da due anni. Frane e smottamenti sono una costante in un territorio giovane e tormentato come il nostro. Manca ancora di essere completata la carta geologica e il censimento delle frane e il loro monitoraggio.

Il tragico crollo di Genova può essere uno spartiacque per avviare il paese sull’unica prospettiva di crescita, quella della messa in sicurezza e della manutenzione specialistica che apra al settore produttivo italiano la prospettiva di un salto culturale e tecnologico. Spiace che di fronte a questo scenario ci siano importanti forze imprenditoriali che hanno preso a pretesto questa immane tragedia per portare acqua alla realizzazione di grandi opere.

L’Italia ha certo bisogno di alcune opere che rendano moderno il sistema infrastrutturale. A patto di discuterne in modo maturo e trasparente con le comunità cittadine e – soprattutto – riversare ogni risorsa umana, progettuale e economica pubblica sulla prospettiva del salto tecnologico e culturale che il paese attende.
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26 luglio 2018 4 26 /07 /luglio /2018 23:53

Da eddyburg traggo questo breve articolo dedicato ai Custodi della Madre Terra assassinati da chi vuole rapinarla inquinandola e uccidendo esseri viventi che la rispettano.

Quando vi sarà Giustizia per queste persone uccise o minacciate? Quando pagheranno i politici corrotti, i gruppi paramilitari, i dirigenti delle multinazionali?

Tiziano

 

25 luglio 2018

Il 2017 è stato l'anno più luttuoso per l'attivismo in difesa dell'ambiente e della terra di comunità locali contro le espulsioni e lo sfruttamento delle grandi corporazioni, gruppi paramilitari e governi. Sono almeno 207 gli attivisti uccisi l'anno scorso, nella maggior parte associabili alle lotte contro l'agribusiness del caffè, olio di palma e piantagioni di banane. Non solo in Colombia, Filippine e Brazile, ma in tutto il mondo, è sempre più pericoloso mettersi contro i poteri dell'economia globale.

Fonte: Nell'immagine Maria do Socorro, che lotta contro la fabbrica di alluminio - la Hydro Alluminio di proprietà norvegese - ritenuta responsabile dell'avvelenamento dell'acqua di Barcarena, in Brazile. La foto è di Thom Pierce (Guardian, Global Witness) ed è tratta dal rapporto «At what cost» a cura di Global Witness, un' ente che conduce inchieste, ricerche e campagne sulla relazione tra distruzione ambientale da una parte e conflitti, corruzioni e affari dall'altra. (i.b.)
 
 

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15 luglio 2018 7 15 /07 /luglio /2018 23:10
Ripropongo un articolo illuminante di Nebbia sugli scienziati che decenni fa mettevano al corrente dei problemi gravissimi causati dall'inquinamento di aria, acqua e suolo fatto dall'uomo. Non sembra cambiato molto.

Tiziano

Clima, una lunga storia con i suoi inascoltati profeti di Giorgio Nebbia (Il manifesto 10.7.2018)
«Le tre alternative ai disastri ambientali: rassegnarsi, adattarsi, pianificare. La terza soluzione significa darsi l’obiettivo di non occupare nuovi spazi»
«L’uomo ha perso la capacità di prevedere e prevenire; finirà per distruggere la Terra»: queste parole furono pronunciate da Albert Schweitzer, il grande pensatore premio Nobel per la pace, nel 1953, quando le bombe atomiche esplodevano nell’atmosfera.

Esplosione che stavano diffondendo atomi radioattivi e cancerogeni su tutto il pianeta. Nei decenni successivi l’umanità ha conosciuto un aumento dei consumi e dell’uso dell’energia e delle risorse naturali, accompagnato da un corrispondente aumento della diffusione nel pianeta di rifiuti solidi e liquidi e di gas come anidride carbonica, metano, composti clorurati, eccetera, che stanno modificando la composizione chimica dell’atmosfera con conseguente aumento della temperatura media del pianeta.

Tale aumento provoca alterazioni nella circolazione delle acque e le conseguenze si vedono sotto forma di più frequenti violente tempeste o lunghe siccità, di avanzata dei deserti in alcune zone, di frane e allagamenti in altre.

Gli effetti negativi dei cambiamenti climatici potrebbero essere contenuti attraverso una limitazione delle attività umane inquinanti, ma qualsiasi tentativo in questa direzione è finora fallito perché danneggia potenti interessi economici, gli affari, le finanze, le imprese, i produttori di petrolio e di energia o gli sfruttatori delle terre agricole e delle foreste.

Già novanta anni fa i biologi matematici Volterra e Kostitzin avevano spiegato che l’intossicazione dell’ambiente dovuto ai rifiuti delle attività dei viventi porta ad un inevitabile sofferenza e declino delle popolazioni che tale ambiente occupano, tanto più rapido quanto maggiore è la produzione di rifiuti. E quarant’anni fa Commoner («Il cerchio da chiudere») aveva scritto che i guasti ambientali sono proporzionali al “consumo” procapite di merci e risorse naturali e alla conseguente produzione di scorie. Temi poi ripresi dal libro sui «Limiti alla crescita». Tutte cose ridicolizzate o dimenticate o ignorate dal potere economico e dalle autorità politiche perché disturbano il ”normale” andamento delle cose.

Che fare per, almeno, attenuare costi e dolori? Ci sono varie alternative: quella attuale è andare avanti come al solito ignorando il fatto (certo) che ci saranno sempre più frequenti disastri ambientali come quelli che hanno devastato la bella Nuova Orleans, o le Filippine, o le fortunate isole e coste turistiche, e rimediando i danni con i soldi. In Italia si invoca lo stato di calamità naturale che consiste nel chiedere soldi pubblici per risarcire chi perde la casa, e i beni o i raccolti, o i macchinari delle fabbriche, o per ricostruire strade e ferrovie e scarpate e ponti travolti dalle intemperie o dalle frane e alluvioni. Soldi che vengono poi spesi in genere per ricostruire negli stessi posti che saranno di sicuro devastati da eventi futuri.

Lo stesso vale per i disastri mondiali per i quali le comunità locali o internazionali spendono soldi per risarcire i danni che le persone hanno subito, per l’imprevidenza dei loro governi i quali non hanno preso le precauzioni — tanto per cominciare la limitazione delle emissioni di gas serra — che avrebbero salvato vite e beni; poco conta se aumentano i dolori umani e le morti che non entrano nelle contabilità nazionali e aziendali, poco conta se l’agire “come al solito” provoca migrazioni di masse umane in fuga dall’avanzata dei deserti, dalle zone devastate da cicloni e frane, provoca conflitti senza fine fra popoli che si contendono terre in cui vivere.

La seconda alternativa È offerta dalla recente invenzione della resilienza, cioè dell’adattamento alle prevedibili catastrofi senza fare niente per prevenirle. Si sa che le tempeste tropicali e l’aumento del livello degli oceani potranno danneggiare le strutture costiere: pensiamo allora a costruire edifici su piloni, barriere nel mare per proteggere le rive; si sa che le più frequenti e intense piogge provocano frane e alluvioni: pensiamo a costringere i fiumi dentro canali e argini artificiali. la fantasia dei resilientisti è senza fine nel suggerire come adattarsi alla ”cattiveria” della natura e del pianeta senza ricorrere a divieti che rallenterebbero il glorioso cammino della crescita economica.

Ci sarebbe un’altra soluzione; dal momento che si può interrogare la natura e prevedere come circoleranno le acque e le masse d’aria in conseguenza di quello che stiamo facendo al pianeta e dal momento che non sembra ci sia nessuna ragionevole possibilità di frenare le modificazioni in atto, cioè di consumare meno energia o di rallentare i consumi, si potrebbe cercare almeno di non occupare gli spazi, pure economicamente appetibili, dove si manifesteranno le forze distruttive della natura.

La chiamavano pianificazione territoriale ed era insegnata anche in cattedre universitarie ed era stata raccomandata e spiegata da studiosi, ed era perfino stata ascoltata, se pure non attuata, da alcuni uomini politici illuminati e presto spazzati via. Perché perfino il minimo rimedio della pianificazione presuppone lo “sgradevole” coraggio di dire di no, di vietare la presenza umana nelle zone ecologicamente fragili ed esposte a frane, marosi, tempeste e ad altri eventi catastrofici.

Il divieto di costruire opere permanenti, ad esempio a meno di trecento  metri di distanza dalla riva del mare o dei fiumi, per permettere alle onde e alle acque di recuperare i propri spazi naturali, una minima azione di prevenzione, priva l’uso delle zone più appetibili e ne danneggia i proprietari; un divieto inaccettabile perfino allo stato che, teoricamente, sarebbe il proprietario di parte delle coste e rive, come dimostra la frenesia di vendere le spiagge ai “concessionari”, dopo che essi hanno già devastato le zone ricevute in affitto.

La pianificazione e la prevenzione non rendono niente ma anzi costano e disturbano la proprietà (privata ma anche pubblica); poco conta che tali costi permettano “ad altri” di risparmiare costi futuri. nessuna ragionevole persona, nella società del libero mercato, deve spendere neanche un soldo pensando “ad altri”, non al prossimo vicino e tanto meno al prossimo del futuro. Quando ci fanno vedere alla televisione le file di cadaveri, le persone disperate nel fango, al più rivolgiamo un pensiero a “quei poveretti”, fra una forchettata e l’altra. E così, con allegra incoscienza e ignoranza di singoli e di governanti, si corre spensieratamente verso un ancora più sgradevole futuro.
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10 giugno 2018 7 10 /06 /giugno /2018 23:13

pubblico questo manifesto per la marcia che si è tenuto il 10 giugno contro la morte della città storica stritolata dal turismo di massa, dalla speculazione legata alla rendita fondiaria e da una classe politica indegna del passato secolare di questa Città cosmopolita.

Quanto sta avvenendo a Venezia è il simbolo di quanto avviene in molte altre città e delle politiche sbagliate che si conducono.

 Tiziano

 

Manifesto della Marcia per la dignità di Venezia

 
MARCIA PER LA DIGNITÁ DI VENEZIA

II Comitato No Grandi Navi invita le abitanti e gli abitanti della città storica e della Terraferma, chi ci vive o vi lavora da pendolare, ii mondo associativo e le organizzazioni a mobilitarsi per restituire dignità alla città di Venezia, mai come oggi minacciata dall'operato di chi la governa.
Partiamo come sempre da noi, dalla richiesta di estromettere le grandi navi dalla laguna, ma oggi non basta piu, sentiamo la necessita di andare oltre.
La recente vicenda dei tornelli, al di la della ridicolaggine, é grave non tanto perché rappresenti l'inerzia dell'amministrazione di fronte all'invasione da parte di un turismo insostenibile e al relativo spopolamento, quanto piuttosto perché essa esemplifica ii vero programma di Brugnaro e della sua giunta: trasformare, in nome del profitto, la città storica in un grande parco a tema che abbia nella Terraferma una nuova succursale low cost. A cosa possono servire i tornelli se si sta pianificando la costruzione di 20.000 posti letto in ostelli ed hotel a Mestre nei prossimi anni?
Il 10 giugno saranno in piazza tutti coloro che vogliono, costruiscono e mettono in pratica un altro programma per Venezia, tutti coloro che, con il conflitto sociale, alludono ad un'altra idea di città.
E' necessario ripopolare la citta storica con politiche a misura di residente, riaprire le centinaia di case pubbliche chiuse, offrire vere opportunita di social housing, fermare la costruzione di nuovi hotel, frenare i cambi d'uso, l'utilizzo di AirBnB e simili, favorire l'affitto ai residenti e le operazioni di autorecupero.
Sono questi problemi che non riguardano più solo la città insulare, ma che preoccupano anche gli abitanti di Mestre e Marghera, dove i prezzi degli affitti sono già aumentati esponenzialmente rispetto a pochi mesi fa.
Bisogna invertire la ricetta di questa giunta che taglia i servizi di welfare, licenzia il personale precario e svende ii patrimonio pubblico.
Questo é il vero degrado.
II Comune deve invece tarsi carico di quei servizi che consentano a tutte e tutti di vivere degnamente. Servono servizi moderni, efficienti e all'avanguardia.
Oggi accade tutto il contrario. Si deve dunque investire in welfare e contemporaneamente si deve favorire quel tessuto sociale ed associativo che (a costo quasi zero) recupera spazi, Ii autogestisce, Ii strappa all'abbandono, alla privatizzazione o alla semplice messa a rendita.

Venezia deve tornare ad essere città viva, con un tessuto produttivo diversificato, non può essere spianata dalle rendite di posizione speculative che troppo velocemente distruggono la sua biodiversità urbana. La monocoltura turistica sta distruggendo la città portando ricchezza solo a pochi, con attività tra l'altro basate spesso su lavoro precario e sfruttamento.
lnvece Venezia può essere sede di attività legate anche alla cultura e alla ricerca, agli studi e all'innovazione produttiva eco-compatibile, garantendo reddito e distribuendo ricchezza a tutti.
 
Il 10 giugno invitiamo a scendere in piazza tutti coloro che vedono nell'ambiente una parte imprescindibile della città e non qualcosa di estraneo, magari sacrificabile sull'altare di un modello di sviluppo suicida.

La nostra piazza dirà che quando si distrugge l'ambiente, si distrugge la città. Per questo le navi devono stare fuori dalla laguna, per questo non vogliamo nuovi scavi, per questo dobbiamo prendere misure che diminuiscano l'inquinamento dell'aria da traffico urbano, ma anche marittimo, e limitare ii consumo di suolo (che spesso porta con se speculazioni e conflitti di interesse a cui il sindaco non è estraneo).

A vedere l'operato di questa giunta, pare che le tradizioni di questa città richiamino ad un'identità escludente, chiusa e definitivamente provinciale.
Mai operazione fu più revisionista.
Venezia é stata nei secoli città del mondo, e nel mondo ha fatto la sua fortuna, commerciale e culturale.
E' stata, all'apice della sua traiettoria storica, un'interfaccia tra civilta diverse, uno snodo internazionale di genti, affari, culture e arti.
Non dimentichiamoci di questa eredità.
Non lasciamo che chi ci governa riduca tutto ad un'attrazione con i suoi orari di apertura e chiusura.

Contro le dichiarazioni e le prese di posizione maschiliste e razziste di chi ci governa, vogliamo invece riaffermare Venezia come aperta e multiculturale, luogo di cultura antirazzista e antisessista.

Per tutte queste ragioni saremo in piazza Domenica 10 Giugno.
Per una città diversa, per restituire dignità a Venezia
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9 maggio 2018 3 09 /05 /maggio /2018 00:15

Beni culturali e qualità di vita minacciati

 

Mendrisio risulta essere il Comune ticinese più arretrato in materia di salvaguardia dei beni culturali di interesse locale, se confrontato con i principali centri urbani del Cantone.

Mendrisio è anche uno dei Comuni ticinesi con il numero più elevato di abitazioni vuote: è al terzo posto con il tasso del 3%, battuto solo da Chiasso (4.3%) e Locarno (3.4%), mentre la media del Cantone Ticino è dell'1.59% (Statistica delle abitazioni vuote, USTAT, 26.9.2017).

Si tratta di due fenomeni generati dai poteri politico ed economico per la volontà di sfruttare il territorio tramite la rendita fondiaria, con il suo conseguente stravolgimento nei dieci ex Comuni aggregati. Il peggioramento della qualità di vita riscontrabile dagli anni Novanta del Novecento ha avuto un’accelerazione patologica negli ultimi dieci anni. La varietà dei quartieri formatisi nel corso dei secoli per lenta stratificazione è sempre più impoverita a causa della sostituzione del tessuto storico in seguito a demolizioni e costruzione di edifici di architettura dozzinale e fuori contesto. Questi interventi distruttori sono resi possibili dai dieci Piani regolatori e dalle loro norme di attuazione, che il gruppo dei Verdi ha tentato di modificare presentando una mozione per la creazione di un unico PR, che però è stata bocciata.

In merito ai beni culturali, abbiamo presentato nel 2013 la mozione «Per la protezione del patrimonio architettonico del nuovo Comune di Mendrisio» – ancora all’esame della Commissione della pianificazione – tramite la quale si chiede l’elaborazione di una variante del Piano regolatore dedicata ai beni culturali, come hanno fatto negli scorsi anni i principali centri urbani del Cantone: Lugano, Bellinzona e Locarno, sulla spinta di atti in CC e di petizioni popolari, come quella promossa dalla Società ticinese per l’arte e la natura (STAN) a Bellinzona per salvare ville e parchi storici. Nel frattempo, però, grazie alla presentazione della nostra mozione, il Municipio ha contattato l’Ufficio dei beni culturali del DT. Quest’ultimo ha trasmesso un mese fa il censimento dei beni culturali del nostro Comune, strumento di base per avviare il lavoro di selezione degli oggetti potenzialmente da tutelare. Ora, l'Esecutivo non può più perdere tempo e tergiversare, come ha fatto per decenni, e deve concretizzare il Preambolo del Regolamento comunale, che così recita: «il Comune di Mendrisio s’impegna a (…) incoraggiare una vita socioeconomica di qualità ed uno sviluppo del territorio che tenga conto del suo patrimonio storico, politico, culturale e naturale».

Se si analizza la politica fattuale del Municipio si constata che essa disattende quanto enunciato nel Preambolo. La lacuna giuridico-pianificatoria riguardante i beni culturali di interesse locale sta conducendo a situazioni di concreta minaccia a edifici potenzialmente degni di essere protetti, forse proprio per poterne disporre liberamente. Le domande di costruzione per demolire edifici di pregio storico-architettonico o per modificare la sostanza storica di ville e parchi si susseguono a ritmo sostenuto. Vi sono diversi casi, tra i quali il villino Andreoli – pregevole esempio di stile liberty per il momento fuori pericolo grazie alla lungimiranza del nuovo proprietario – che non è tuttora tutelato legalmente malgrado la richiesta del Cantone, o la licenza edilizia rilasciata recentemente per la demolizione degli stabili dell'ex garage Malacrida in via Motta.

È ovvio che se il Municipio rilascia una licenza edilizia per la demolizione o la modifica della sostanza storica di un edificio giuridicamente non tutelato, ma potenzialmente degno di essere salvaguardato come bene culturale di interesse locale, in tal modo impedisce al Consiglio Comunale di svolgere il proprio compito istituzionale assegnato dalle leggi in materia di protezione dei beni culturali e di Piano regolatore. Infatti, l'art. 20 della Legge sulla protezione dei beni culturali specifica al cpv. 2 che «il Legislativo comunale decide quali immobili di interesse locale proteggere».

Mendrisio deve finalmente seguire l'esempio degli altri principali Comuni urbani ticinesi e salvaguardare gli edifici degni di essere inventariati quali beni culturali di interesse locale e i quartieri che hanno conservato la loro struttura antica, elementi di pregio che caratterizzano ancora i suoi dieci Quartieri.

 

Tiziano Fontana, CC i Verdi

 

Beni culturali e qualità di vita minacciati
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8 aprile 2018 7 08 /04 /aprile /2018 22:53

Pubblico uno scritto - poema di Giorgio Nebbia dedicato al giorno dell'Acqua, il 22 marzo.

Il 22 marzo è la mia giornata e quest'anno voglio parlare di me: sono la goccia di acqua. Di gocce simili a me ce ne sono in numero sterminato, tutte intorno a voi, nel mare davanti a Genova o Palermo o Trieste, ma siamo tutte in continuo movimento e ciascuna di noi ha una sua storia. Io sono in questo momento nel mare, ma sta sorgendo il Sole e il suo calore scalda me e tutte le mie compagne. Questo calore mi trasforma dallo stato di goccia liquida allo stato di vapore e mi disperdo perciò nell'aria. C'è una forza che mi spinge verso l'alto, nell'atmosfera, ma ben presto mi sento circondata da aria fredda che mi costringe a tornare, dallo stato di vapore, allo stato di goccia d'acqua, che è poi lo stato più naturale per me, che mi piace di più.
Come goccia sono più pesante dell'aria e scendo rapidamente; molte mie compagne, e qualche volta anch'io, ricadiamo di nuovo nel mare, ma oggi cado sul suolo di una zona interna dell’Appennino. Benché sia così piccina, arrivo sul terreno con una forza di caduta enorme al punto da disgregare le rocce e da sollevare tutto intorno la polvere; non per vantarmi (e non ci sarebbe da vantarsi) nella mia caduta sul suolo scavo un cratere quasi come una bomba. Il terreno su cui sono caduta è inclinato e io scendo in basso, verso quella che voi chiamate pianura e costa, trascinandomi dietro un po' della polvere disgregata dal terreno.
l mio cammino finisce dopo poco, in un lungo tubo buio; sento una grande forza che mi trascina, voi umani le chiamate pompe, e una di queste mi attira e mi spinge; per un po' di tempo non vedo niente, ma poi ritrovo la luce uscendo da un rubinetto e mi ritrovo fra le mani di un bambino che si sta lavando. La cosa mi piace fino a un certo punto perché il bambino si toglie lo sporco dalle mani con una roba schiumosa, quella che voi chiamate sapone, e io mi ritrovo tutta inquinata.
Dopo qualche istante sono trascinata, con tante mie compagne, lungo lo scarico del lavandino e qui le cose cominciano a mettersi male; lo scarico è collegato con altri tubi e altri tubi ancora e qui sono circondata da tantissime mie compagne ancora più sporche e inquinate di me; tutto intorno a noi, povere gocce d'acqua, ci sono porcherie, residui di cibo, sostanze schiumose, avanzi di fibre che, mi dicono, vengono dalle macchine che voi chiamate lavatrici. Voi umani scrivete delle belle poesie sull'acqua e anche un vostro santo ha detto che l'acqua è vostra sorella, ma all'atto pratico ci trattate davvero male. Alla fine arrivo in un aggeggio che chiamano depuratore e, con vari maltrattamenti, separano da me almeno una parte delle sporcizie con cui ho viaggiato nelle ultime ore.
Finalmente un tubo mi rigetta nel mare; ero così contenta di viaggiare nell'aria e sul suolo, ma adesso mi rendo conto di avere passato una brutta avventura; speriamo vada meglio la prossima volta. Dopo qualche giorno di nuovo il calore solare mi fa evaporare dal mare e questa volta vengo trascinata da un vortice di vento che mi porta in alto e lontano. Nel mio stato di vapore guardo sotto di me e vedo altri grandi mari e terre e questa volta trovo uno strato freddo a grande altezza e finalmente torno allo stato liquido di goccia e scendo verso il suolo.
Nella mia precedente caduta sulla terra nessuno si è occupato di me e mi hanno anzi maltrattata con le lavatrici e le fogne e i depuratori, ma adesso, mentre sto scendendo, vedo tante mani alzate verso di me ci sono tanti bambini e la loro pelle è colorata di scuro, molto diversa da quella bianca del bambino che mi ha usato per lavarsi le mani. La mani di questi bambini mi toccano, mi accarezzano, come se fossi un regalo del cielo; da quel che capisco, da mesi non vedevano una goccia di acqua e ne avevano disperato bisogno per preparare il cibo, per bere, per irrigare i campi da cui trarre i raccolti, per abbeverare i magri animali che vedo intorno a me. Questi umani almeno mi dicono grazie e mi raccolgono come una cosa preziosa; ogni piccola goccia di acqua come me viene messa entro vasi e stanno tutti attenti perché nessuna di noi cada a terra o vada persa.
Chi sa perché voi umani siete così diversi nei confronti della umile e preziosa goccia di acqua. Mi piacerebbe che la prossima volta che scendo su una delle vostre terre, piene di automobili e di pompe e lavatrici e tubi, mi salutaste con affetto o almeno con rispetto. Se qualche volta qualcuna di noi scorre troppo rapidamente verso la pianura e allaga i vostri campi non è colpa nostra; siete voi che avete maltrattato il suolo dimenticando che noi gocce d'acqua abbiamo le nostre regole e forze e possiamo arrivare nella vostra vita senza danni se imparate a conoscere come ci muoviamo sul suolo, nel sottosuolo, fra gli alberi e dentro le foglie.
L'acqua è vita e noi gocce d'acqua la vita portiamo a tutti voi terrestri, di pelle bianca o colorata.

 

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29 marzo 2018 4 29 /03 /marzo /2018 22:21

Mendrisio, 11 marzo 2018

INTERPELLANZA

Piazza del Ponte II

 

Signor Sindaco e signori Municipali,

il protrarsi della vicenda di Piazza del Ponte e dell'edificio ex Jelmoli suscita stupore e incredulità tra la popolazione, che nutre sempre meno fiducia nelle autorità visto il mancato rispetto della volontà popolare espressa sia tramite la sottoscrizione della petizione del novembre 2007 Per una Piazza del Ponte degna del suo nome, sia con il referendum del 2016 contro la variante pianificatoria.

 

Nel frattempo vi sono due elementi che meritano chiarimenti.

La licenza edilizia per la demolizione dell’edificio ex-Jelmoli è datata 23 febbraio 2016 (cfr. MM 10/2016); pertanto sono scaduti i due anni di validità della licenza stessa.

Inoltre, rispondendo alla mia interpellanza del 24 settembre 2017 avete riferito, in merito al concorso per l'abbattimento dell’edificio ex-Jelmoli, che «con la decisione di annullamento di una gara a procedura libera, la legge permette l’attuazione di una procedura di gara a invito (LCPub art 11). L’UTC e il progettista ha raccolto informazioni sull’idoneità di alcune ditte e nel corso del prossimo mese sottoporranno i nominativi al Municipio, alfine di procedere all’apertura di una nuova gara d’appalto, questa volta ad invito. L’aggiudicazione verosimilmente avverrà 3 mesi dopo l’apertura del concorso»

 

Considerato quanto sopra desidero sapere:

- la licenza edilizia per la demolizione dell'edificio ex Jelmoli è stata rinnovata?

- l'appalto per la demolizione dello stabile è stato assegnato?

- quando avrà luogo la demolizione dell'edificio ex Jelmoli?

 

Ringraziando per l'attenzione porgo i migliori saluti.

 

Tiziano Fontana, CC i Verdi

 

 

La risposta del Municipio, data durante il Consiglio comunale del 20 marzo, è stata:

per 1): si

per 2): no

per 3): non sappiamo ancora (ecc.)

 

Leggeremo, appena pronto il verbale della seduta, la risposta completa; va riconosciuto al Municipio un'idea geniale: per sviare i mass media - spesso superficiali e pronti ad abboccare a quanto il Potere vuole far passare come messaggio - dalle imbarazzanti risposte all' interpellanza, l'Esecutivo ha proiettato il rendering della sistemazione provvisoria della Piazza, così ha spostato l'attenzione sulla sistemazione (chiamando in causa ancora una volta il Cantone ...); un buon giornalista avrebbe dovuto chiedere al Municipio come mai le due procedure di concorso - una libera e l'altra su invito - sono andate a vuoto e con quali differenze rispetto al preventivo allestito dall'Ufficio tecnico comunale e/o da terzi (abbiamo chiesto in Commissione della gestione chi ha allestito il preventivo; sappiamo che la Comal SA ha allestito la domanda di costruzione per la demolizione dello stabile). Vedremo fra qualche mese.

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12 marzo 2018 1 12 /03 /marzo /2018 23:17

Dal 28 febbraio al 14 marzo è in pubblicazione la notifica di costruzione, da parte dell'Università della Svizzera Italiana, per la posa di una scultura metallica che, stando alla Memoria descrittiva, è "un elemento attrattivo ed espositivo".

Camminando lungo via Alfonso Turconi venerdì 9 marzo ho notato che vi era una struttura metallica tubolare, così come altre persone che l'hanno segnalata; ieri sono stato in UTC a visionare l'incarto e ho chiesto spiegazioni per capire se la notifica riguarda una struttura provvisoria e se quanto già realizzato corrisponde all'oggetto della notifica: in UTC hanno notato che la "scultura-struttura reticolare" è già stata posata e che non è specificato se si tratta di una struttura provvisoria o no.

L'Accademia dopo aver dimenticato di posizionare le modine per la domanda di costruzione degli atelier - sono stati costretti a farlo dopo una segnalazione dell'arch. Antonini vicepresidente della STAN - ora erige la struttura metallica prima del termine di pubblicazione della notifica: l'Accademia fa quello che vuole, infischiandosene delle leggi. Un plauso.   

Dopo aver fatto sparire i cancelli ottocenteschi, nascosto un'intera ala dell'edificio ex OBV -  bene culturale cantonale e federale ! -  con la biblioteca di legno e non aver sostituito gli alberi maestosi presenti per un secolo,  ora si prosegue nella banalizzazione di quel luogo un tempo maestoso con una struttura del genere ...  

Che senso di precarietà., incompletezza e banalizzazione rispetto alla perfetta sistemazione originale e alla monumentale bellezza dell'edificio ottocentesco.

Tiziano

Scultura davanti al fu Ospizio/Opsedale della Beata Vergine
Scultura davanti al fu Ospizio/Opsedale della Beata Vergine
Scultura davanti al fu Ospizio/Opsedale della Beata Vergine
Scultura davanti al fu Ospizio/Opsedale della Beata Vergine
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Presentazione

  • : Blog di parcodivillaargentina.over-blog.it
  • : salvaguardare il Parco di Villa Argentina (Mendrisio) come bene comune; riflettere sul territorio e sul paesaggio del Mendrisiotto e sulla qualità di vita dei suoi abitanti
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