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14 settembre 2011 3 14 /09 /settembre /2011 22:02

Pubblichiamo (in ordine cronologico) i discorsi dei Consiglieri comunali intervenuti durante la seduta del 5 settembre 2011 a favore della mozione (ringrazio i consiglieri comunali che li hanno gentilmente messi a disposizione).

Presenteremo qualche riflessione sulla seduta di CC in un altro articolo.

 

 

1. Claudia Crivelli Barella (a nome dei Verdi) 

 Signore e Signori,

che cos’è un parco? Un parco è l’espressione più alta che l’uomo possa lasciare sul paesaggio, è l’impronta della civiltà che si impone sulla natura. A differenza degli edifici abitativi, ecclesiastici, scolastici o logistici, muta con il mutare delle stagioni e degli anni, con il crescere degli alberi e con le diverse fioriture. Un parco, con la sua presenza, richiama l’uomo alla mutevolezza del tempo, e lo incita alla contemplazione, offrendogli ristoro e ispirazione.

Nulla a che vedere con il bosco, luogo del selvatico, popolato da cinghiali e da volpi: il parco è uno spazio altamente antropocentrico, pensato dall’essere umano per distinguere la civiltà dalla natura, utilizzando proprio i canali della natura ma imbrigliata, educata, sottomessa in parte alla volontà e all’ingegno umani.

Un parco è un’opera d’arte, e un segno chiaro della presenza di una città: un paesello di campagna può farne a meno, richiamandosi ai giardini privati per cercare la bellezza strutturata. Una città senza un parco non esiste: sarà un’accozzaglia di edifici, ma non avrà mai la dignità di un centro urbano (persino Venezia, città d’acqua, ha alcuni parchi, seppur forzatamente piccoli, e il mare funge da grande parco acquatico).

Diceva Cicerone: “e se accanto alla biblioteca vi sarà un parco, nulla potrà mancare”, illustrando in tal modo un ideale di vita per l’essere umano. Mendrisio, città slow, ha operato scelte oculate e lungimiranti, ad esempio portando una biblioteca di nuova concezione, un vero e proprio centro culturale, in pieno spazio cittadino, una struttura che ci sarà invidiata e ammirata e che porterà nuova linfa vitale nel centro urbano. Le persone accorreranno per seguire le varie attività proposte dalla biblioteca-centro culturale, sosteranno per le vie, si fermeranno nei bar e nei negozi. Ma se mancherà un parco, un’area verde in cui sostare e ritemprarsi, lo sforzo necessario per richiamare i cittadini sarà in parte vanificato.

Un parco è un luogo di socializzazione, di organizzazione di eventi, di infinite e allettanti proposte: possiamo pensare ad un chiosco, un carretto con i gelati d’estate e di marroni nella stagione fredda, delle chaise-longues con coperte di lana per l’inverno noleggiabili con possibilità di lettura di quotidiani, la visione di un film tra le fronde, il semplice contemplare le diverse fioriture e il mutevole colore delle foglie. Tutto questo sarà impossibile se immaginiamo sulle balze del prezioso parco di villa Argentina delle palazzine, le ennesime e anonime palazzine di lusso che contribuirebbero ad una bolla immobiliare ormai vicina.

Un parco può contenere delle costruzioni, se misurate: un’orangérie, una serra, un piccolo caffè. Non, certamente, degli edifici troppo ingombranti come, ad esempio, delle scuole.

Il parco è dei mendrisiensi, un po’ sbalestrati dal divenire città del loro bel borgo e che a più riprese ne hanno chiesto la tutela. I mendrisiensi di ieri meritano il nostro rispetto e il nostro ricordo. I momò di oggi e di domani hanno bisogno di innamorarsi ancora della propria città, e il parco di villa argentina è il segno tangibile e nobile di questo amore.

I Verdi, che fin dal principio hanno creduto e difeso il Parco, accolgono con soddisfazione la presa di posizione maturata nel tempo dal Municipio, e continueranno a raccogliere la volontà di quei cittadini che hanno creduto e ancora credono nella possibilità di una Mendrisio più vivibile e più bella, di cui il Parco rappresenta un tangibile segno.

  

  

2. Almero Camponovo (PPD, a titolo personale) 

Gentile Signora Presidente,

Onorevole Signor Vice Sindaco, Municipali, colleghe e colleghi di CC,

Intervengo a titolo personale sul mm 83/2011. Premetto che ho da sempre sostenuto la mozione  e conseguentemente appoggerò il mm.

Sono pienamente convinto che questo comparto e cioè il mappale no. 3043 RFD di Mendrisio debba essere preservato da qualsiasi edificazione  privata e il nostro Comune dovrà intraprendere tutti i passi necessari per poterlo acquisire. Non sto a ripercorrere la storia del Parco, poiché altri l’hanno già fatto e in modo esauriente, contribuendo tra l’altro a far conoscere ai più giovani uno spaccato della nostra storia locale.

Il vasto terreno pianeggiante è forse l’ultimo  spazio  verde di cui dispone il quartiere di Mendrisio: spazio pregiatissimo, inserito in un contesto paesaggistico, storico e culturale di grande valore. Questo esteso terrazzo panoramico, così lo si può definire, che si affaccia su una parte del Mendrisiotto, non può essere disgiunto dal parco sottostante, ma dovrà essere ulteriormente valorizzato e messo a disposizione di tutti.

L’acquisto di Villa Argentina da parte del nostro Comune denota la lungimiranza dell’allora Municipio e CC, che hanno evitato di lasciare in mani private la Villa ed il parco adiacente. A distanza di più di vent’anni questa decisione e la conseguente spesa di 3'500'000 fr. stanno a dimostrare che occorre guardare avanti e non lasciarsi impressionare dalle sole cifre, seppur considerevoli. E’ vero, gli architetti Reinhart e Reichlin avevano progettato la possibilità di edificare nella zona  oggetto di questo messaggio, ma occorre anche riconoscere che lo studio è stato eseguito nel 1988, ben 23 anni fa. Mi sembra inutile elencare quali significativi cambiamenti siano intervenuti in questo lasso di tempo a Mendrisio,  magnifico borgo di allora, attualmente quartiere della nuova città. Di conseguenza l’utilizzo di aree di svago ed il mantenimento delle stesse è diventato di primaria importanza.

Mendrisio sembra non conoscere rallentamenti dal punto di vista edilizio: parecchi sono i cantieri aperti per la costruzione di nuove abitazioni e altri verranno aperti prossimamente. Dunque non vi è penuria di alloggi nel quartiere. Edificando la zona sopra Villa Argentina equivarrebbe ad annientare ciò che ancora di bello, inteso come verde, esiste a Mendrisio. Occorre pure valutare l’impatto ambientale nel caso in cui  il sedime venisse edificato: il traffico generato confluirebbe tutto su via Villa Foresta o peggio ancora su via Alla Torre, creando non pochi  problemi  di viabilità alle porte del nucleo di Mendrisio. Penso all’ angusto passaggio sotto la chiesa della Torre, ma anche all’ incremento di percorrenze su via Villa Foresta. Questo aumento di traffico si riverserebbe sull’imbocco della zona pedonale e all’incrocio con via Turconi.

Per concludere mi permetto di riprendere due frasi apparse sull’Informatore del 27 marzo 2009.

La prima è la seguente:                                                                                                                        

“E’ affascinante l’idea di poter recuperare un terreno pregiato ai confini del Parco di Villa Argentina”.

La seconda dice: “Ci sono crediti che possono essere definiti effimeri e crediti (…..) che assicurano spazi fondamentali alla Città. Non si può calcolare solo il valore del terreno, perché si tratta di diventare proprietari di qualcosa di unico e irripetibile”

Per correttezza la prima frase è del nostro sindaco Carlo Croci, che ringrazio per essersi espresso in questi termini, mentre la seconda è del sindaco di Lugano Giorgio Giudici.

L’articolo sull’Informatore porta la firma di Tiziano Fontana.

 

 

3. Nicola Rezzonico (a nome del gruppo PLR)

Gentile Presidente, Egregio Signor Sindaco, Municipali, colleghe e colleghi,

A distanza di qualche anno il Consiglio Comunale è nuovamente chiamato a chinarsi sul comparto di Villa Argentina. Nel corso degli ultimi 30 anni più volte i consiglieri hanno votato pianificazioni, revisioni di PR, svincoli, acquisti di terreni e altro ancora a dimostrazione dell’interesse pubblico (e privato) che questo comparto suscita regolarmente a Mendrisio.

La differenza rispetto al passato è che questa volta l’appuntamento politico non è dettato dall’agenda politica del Municipio o dell’Amministrazione Comunale. Questa volta la spinta viene dai cittadini che si sono mobilitati, firmando una petizione e creando un’associazione a difesa del territorio, nel caso specifico a difesa del Parco di Villa Argentina.

Grazie al successo della petizione del Comitato “Ricostituiamo il Parco di Villa Argentina” si è innescato un processo di rivendicazione politica e civile unico in questi ultimi anni a Mendrisio, processo che è sfociato a livello istituzionale nella mozione che discutiamo stasera.

Il PLR ha da subito partecipato a questo azione politica e civile in difesa di un sedime di alto interesse culturale e paesaggistico. C’è stata una forte mobilitazione di tanti membri del nostro partito; la direttiva del PLR prima e in seguito il gruppo di CC hanno pubblicamente appoggiato la mozione, dando un forte segnale al Municipio e alla altre forze politiche.

Va detto con chiarezza che il nostro convincimento non nasce oggi per motivi elettorali e di interesse partitico. Infatti è agli atti che già agli inizi degli anni ‘90, in occasione dell’approvazione del Piano Particolareggiato di Villa Argentina il nostro gruppo in CC si era astenuto non condividendone i contenuti, definiti troppo generosi in termini di edificabilità.

Oggi non saliamo su un carro che speriamo vincente. Il PLR è su questo carro da tanti anni.

Evidentemente non è nostra abitudine attribuirci tutto il merito qualora la mozione venisse approvata, ma è corretto sottolineare il ruolo politico fondamentale che il nostro partito ha avuto in questa vicenda. Riconosciamo senza ombra di dubbio la decisiva azione civile del Comitato “Ricostituiamo il Parco”, nonché il determinante appoggio dei Verdi, di Lega/UDC e di Insieme a Sinistra.

All’appello manca il partito di maggioranza, di cui importanti membri della Commissione ad hoc hanno firmato il rapporto di minoranza contrario alla mozione.

Auspichiamo che non tutti gli esponenti del PPD condividano le conclusioni del rapporto di minoranza e che anzi sposino le considerazioni del rapporto di maggioranza a favore della ricostruzione del Parco di Villa Argentina.

Sarebbe un segnale importante in vista dei successivi passi che il Municipio dovrà intraprendere per raggiungere l’obbiettivo finale della mozione.

Siamo infatti a metà del guado di un fiume che nasconde ancora altre insidie e pericoli. Con il voto di oggi si fa un passo verso il Parco importante ma non decisivo.

Questa sera la palla torna nel campo del Municipio, al quale spetterà il dovere di avviare una variante di PR da sottoporre al CC. Il Municipio, come scritto nel messaggio, dovrà anche aggiornare il Piano delle Opere Prioritarie, in particolare portare il grado di priorità per questa operazione da 3 a 1.

Auspichiamo anche che i tempi di queste tappe siano i più brevi possibili onde evitare inutili rallentamenti.

A proposito di contenuti, una proposta che faccio, questa volta a titolo personale, è di istituire una Commissione culturale che in futuro si occupi della gestione del Parco, una commissione che possa far vivere il Parco per sfruttarne tutte le potenzialità e i cui membri inizialmente potrebbero essere gli stessi del Comitato “Ricostituiamo il Parco di Villa Argentina”.

Inoltre, a parlo nuovamente a nome del gruppo, sarebbe politicamente opportuno che il Municipio affidi l’imminente conduzione della trattativa di acquisto (sia essa in via bonale oppure tramite un’espropriazione formale) ad un suo membro che non ha mai avuto motivi di collisione privata o professionale, presente o passata, come peraltro fatto finora dall’Esecutivo durante le sedute su questo tema.

A proposito dell’azione del Municipio, non è passata inosservata l’inversione di rotta di 180° che ha visto protagonista proprio l’Esecutivo.

Il suo rapporto preliminare, decisamente demoralizzante per chi crede nel progetto, aveva lo scopo di offrire “spunti di riflessione per approfondire il dibattito in seno alla commissione speciale”. Gli effetti sono stati altri: il rapporto preliminare non ha convinto la maggioranza dei commissari ad abbandonare la mozione. Anzi, l’effetto è stato di far indignare sia i commissari stessi che il Comitato per la ricostituzione del Parco, che da quel momento hanno difeso la dignità del Parco in maniera ancora più determinata.

Suonavano infatti stonate, frasi che dicevano “Sarebbe (…) fuorviante da un lato attribuire un valore artistico, botanico o turistico a un lembo di sedime che non lo ha mai avuto e che si trova in un contesto diverso da quello richiamati dai mozionanti”, oppure la frase “Un proposito,… (quello formulato dei petenti)… che ha un “pathos” tale che non può che coinvolgere la cittadinanza per la carica emotiva quasi di commozione legate alla sua formulazione.”

Altra musica invece nel Messaggio Municipale definitivo: la larga maggioranza politica che si è costituita in seno alla Commissione speciale del CC ha fatto modificare la posizione del Municipio, che ora condivide le linee principali della mozione, ad eccezione del vincolo di zona verde-svago.

Su questo punto il nostro gruppo non intende sollevare obbiezioni e accetta questa correzione.

Riteniamo infatti accettabile l’eventuale edificazione di strutture di interesse pubblico ma legate alla funzionalità del Parco. Inoltre, per tutelare gli intendimenti dei cittadini che hanno firmato la petizione, proponiamo che sia nominata una Commissione speciale del Consiglio Comunale, con il compito di seguire e partecipare allo studio di pianificazione.

Se della bontà del progetto e del valore culturale e storico ha già parlato il collega Borella, mi soffermo brevemente sul costo dell’investimento, ovvero sul prezzo che andremmo a pagare per l’acquisto del mappale 3043 RFD.

Il tema è delicato e non intendo stasera esprimere giudizi sui valori di stima che sono circolati in questi mesi (alcuni messi in circolazione ad arte) e neppure è mia intenzione indicare un limite massimo di spesa, sebbene il nostro partito abbia le idee molto chiare in tal proposito.

Non è il tema principale di questa sera ma siccome qualcuno ne fa solo una questione di prezzo, è giusto fare qualche considerazione.

Il prezzo sarà frutto di trattative tra pubblico e privato (in caso di soluzione bonale) oppure sarà il giudizio del Tribunale competente a definirne il valore (in caso di espropriazione bonale).

Sicuramente deve prevalere il buon senso; il nostro partito è disposto a lavorare in questa direzione e ad assecondare legittime richieste, purché ragionevoli. Un fatto è sicuro: il terreno in questione è unico nel suo genere e l’unico potenziale acquirente è la Città di Mendrisio.

In sostanza condividiamo la frase del rapporto di maggioranza che dice: “Un confronto con prezzi di vendita per terreni edificabili nella zona con analoghe dimensioni diventa poco sostenibile, essendo le condizioni edificatorie completamente differenti”.

D’altre parte anche lo stesso Signor Sindaco, in occasione della discussione per l’acquisto dello stabile ex-Jelmoli, aveva affermato: “Non c`è una perizia immobiliare perché lo stabile è vuoto, quindi non ha un valore di reddito e viene acquistato a scopo pubblico, per cui non è possibile attribuire un valore materiale secondo i canoni commerciali conosciuti. Quando uno stabile acquisisce un valore amministrativo (e io aggiungo patrimoniale) perché di interesse pubblico ha un valore per quel che è stato il suo costo.” Spetterà al Municipio adottare la miglior strategia nell’interesse pubblico.

In ogni caso oggi é troppo presto rinunciare al sogno di dotare la Città di Mendrisio di un Parco urbano perché l’investimento costa troppo, come scritto nel rapporto di minoranza. È troppo presto perché semplicemente non conosciamo il prezzo, e quindi anche l’ “adeguato rapporto costo-beneficio” non è calcolabile. A nostro avviso non deve essere solo una questione commerciale. È in gioco la ridefinizione del concetto di Parco, è in gioco un nuovo modo di pensare e di vivere lo spazio urbano.

Non bastano (e cito ancora il rapporto di minoranza) “poche panchine e tavoli per pic-nic, fontane e servizi igienici pubblici, stalli per biciclette e simili”. Non bastano più, al limite servono se inseriti in un Parco urbano.

Il Monte Generoso, il Monte San Giorgio, la piscina comunale, il pescoso vita, le rive del Ceresio e gli argini del Laveggio non sono il Parco della Città, sono montagne, fiumi, aree di gioco e sport, dove difficilmente famiglie con passeggini e bambini piccoli si recano per passeggiare, dove difficilmente anziani si recano per chiacchierare, dove difficilmente si possono organizzare manifestazioni culturali, musicali e sociali. Il Monte Generoso e il Monte San Giorgio sono montagne uniche per la nostra Regione, polmoni verdi, che si differenziano per loro natura dall’unicità di un Parco urbano, quello di Villa Argentina, che Mendrisio non ha e mai avrà se oggi ci rinunciamo.

Da un punto di vista pianificatorio il rapporto di minoranza afferma inoltre che “La richiesta della mozione si pone quindi addirittura in contrasto con l’impianto e le finalità del Piano Particolareggiato di Villa Argentina”. Certo, é logico che ci sia un contrasto visto che la mozione chiede appunto di modificarne i contenuti pianificatori.

Fatto queste considerazione non mi resta che concludere il mio intervento: il PLR condivide al 100% le osservazioni del rapporto di maggioranza e coglie l’occasione per ringraziare i commissari che l’hanno sottoscritto, in particolare il relatore nonché presidente della commissione ad hoc sig. Borella per il prezioso lavoro.

Esprimo quindi il convinto sostegno di tutto il gruppo PLR alla mozione che costituisce il tassello più importante di tutto il concetto di Restyling promosso dai nostri giovani tramite un’altra mozione già approvata da questo lodevole Consiglio Comunale.

2'780 cittadini di tutto il territorio aggregato attendono una risposta e molti di più attendono un Parco.

Grazie per l’attenzione

 

  

4.  Massimo Borella (PLR, Presidente Commissione ad hoc del CC e relatore rapporto di maggioranza, a titolo personale )

 Signora Presidente,

Onorevoli Municipali, Colleghe e colleghi,

 se questa sera siamo qui a discutere sulla possibilità di un nuovo studio pianificatorio della parte del terreno del parco di Villa Argentina ancora edificabile è innanzitutto grazie al Comitato Parco di Villa Argentina e dei 2870 cittadini che hanno firmato la petizione a ragion di causa e senza particolari ”pathos emotivi quasi di commozione“ verso il parco di Villa Argentina come scritto nel rapporto preliminare sulla Mozione dal Municipio nel 2010 per screditare l’azione dei promotori della petizione.

Per ora picchetti e modine sono scomparsi, ma senza l’intervento del Comitato Parco di Villa Argentina probabilmente ci troveremo di fronte a cosa fatta.

Cosa è cambiato da allora per far modificare radicalmente l’avviso al Municipio?   

Si leggeva nel rapporto preliminare: “i parchi di Mendrisio sono il Monte Generoso e il Monte San Giorgio ben visibili da ogni punto della città e facilmente raggiungibili anche a piedi in una manciata di minuti”.

Si legge ora nel messaggio: ” La città come tale, al suo centro, richiama la necessità di un parco urbano, che a differenza dei grandi polmoni verdi che l’attorniano (MG e MSG) funge da sostituzione del sistema agricolo e forestale permettendo l’insediamento di una ricca fauna che contribuisce al  riequilibrio di un ecosistema sbilanciato.

Unica nel suo genere è la collocazione in posizione centrale in un comparto ad alto contenuto pubblico”.

Meglio tardi che mai per riconoscere che non si tratta di una comune area verde.

Il comparto di Villa Argentina è unico  proprio per la sua collocazione in un contesto di zone aventi la specifica destinazione di attrezzature pubbliche.

Per quanto riguarda il valore culturale e storico del fondo i vari interventi promossi dal Comitato Parco Villa Argentina, ne hanno confermato l’importanza, la maggioranza della Commissione ritiene che i documenti riportati dalla Mozione (lo studio Reinhart e la relazione Righetti) illustrano inconfutabilmente l’appartenenza del comparto in questione con il Parco di Villa Argentina.

 Ed è proprio su questo ulteriore aspetto nell’ottica della realizzata aggregazione che l’Autorità  deve avere a cuore la salvaguardia dei beni più importanti.

 Diversamente da quanto riportato dal rapporto di minoranza, di interventi come quello richiesto dalla mozione sono indispensabili per contrastare alla forte e caotica urbanizzazione conosciuta in alcune parti del Comune di Mendrisio .

Del resto, se osserviamo le proposte di acquisto di beni privati da parte dell’ente pubblico, è una dinamica presente in vari Comuni limitrofi e quartieri della nostra Città.

Creare zone pedonali e verde pubblico dove vi è un bene pubblico di pregio è importante per la valorizzazione del vivere in una città urbana.

Quale relatore del rapporto di maggioranza debbo pure soffermarmi sulla valutazione di un eventuale esproprio o acquisto per trattative bonali con gli attuali proprietari.

Partiamo dal valore di acquisto di CHF 3'160'000.-- del 2004 che per rapporto al valore di stima di CHF 3'806'627.-- dimostra già le condizioni alquanto severe ed i vincoli edificatori del terreno.

 Sfavorevolmente si comprende come mai il Municipio abbia fatto fare una valutazione da un perito con uno scenario meno restrittivo, quando anche in sede di Consiglio Comunale più volte ha confermato la volontà di mantenere tali vincoli.

Per quanto poi valutato dal perito incaricato dai proprietari, che leggiamo sul rapporto di  minoranza è stato fino a pochi anni fa perito del Tribunale di espropriazione, è stato allestito unicamente sul progetto di costruzione dei proprietari, mai passato al vaglio del Municipio e che quindi non ha mai ottenuto una licenza di costruzione.

Confidiamo quindi che il Municipio, a seguito di quanto questa sera il Consiglio Comunale deciderà, riallacci le trattative con i proprietari del terreno per trovare una proposta obiettiva che ottemperi alla realtà delle cose.

 Non vogliamo questa sera fare un elenco di opere da realizzare o da cancellare, ci troviamo di fronte ad una situazione che possiamo ancora sistemare e non dobbiamo farcela sfuggire.

Il nostro Comune ha molte volte saputo prendere delle decisioni che  potevano essere ritenute azzardate o non così necessarie, ma che con il tempo si sono rivelate indovinate. 

 In conclusione riteniamo che siamo quindi in presenza di un bene di rilevante valore culturale e paesaggistico, che come pure ha capito il Municipio, è importante per la valorizzazione della zona in relazione alle cinque realtà presenti: Scuole Comunali, Accademia, Casa Anziani  e Istituto per i minorenni Torriani  ed evitare un edificazione di tipo privato.

Invito quindi le colleghe e i colleghi ad aderire al messaggio.

 

 

5. Rossano Bervini (promotore e primo firmatario della mozione, a nome del gruppo PS)

La qualità di vita di una comunità si valuta anche e forse soprattutto  in base a dei parametri urbanistici, culturali , ambientali e storici  oltre che sociali e finanziari : il moltiplicatore comunale passerà e  nessuno se ne ricorderà fra qualche anno, mentre il parco di Villa  Argentina e in generale il verde urbano della città di Mendrisio  connoterà profondamente l'identità futura del Comune per centinaia  d'anni.

   

[il discorso fatto dall'avv. Bervini non era scritto; le parole riportate qui sopra non sono quelle pronunciate nel corso del dibattito in CC ma è quanto l'avv. Bervini disse a sostegno dell'iniziativa per il Parco e che riassume perfettamente l'idea che anima il Comitato Parco di Villa Argentina]

 

6. Mario Ferrari (PS, a titolo personale)

La vicenda del parco di Villa Argentina può essere assunta a paradigma nobile d’un nuovo modo di far politica.

Infatti la via  per salvare il parco dall’edificazione è stata segnata dalla presenza attiva di cittadini che hanno lanciato una petizione e poi si sono costituiti in un comitato che ha sollecitato e seguito il percorso istituzionale sviluppatosi dentro il Consiglio comunale.

Una dinamica positiva che ha messo in evidenza l’importanza d’una ripresa di coscienza del cittadino che, da semplice amministrato, diventa attivo e propositivo.

Al centro la riscoperta del significato dei beni pubblici, del bene pubblico che torna poi a far riflettere e ad unire le forze politiche.

Una lezione importante, un’assunzione di responsabilità forte (anche finanziaria)  da parte del Comune di Mendrisio che ancora una volta dimostra intelligenza.

A mancare invece all’appello sono invece i ricchi ticinesi dediti agli affari, alle speculazioni edilizie, ad un uso dissennato del territorio depredato quale semplice merce, basti pensare per star vicini ai progetti di Melano e Pojana e solo più lontano, a Paradiso, il complesso edilizio Emerald.

Solo ticinesi cresciuti oltre Gottardo hanno dato segnali generosi nei confronti dei Castelli di Bellinzona o della fattoria dei Cuntitt a Castel San Pietro.

I nostri ricchi tengono tutti famiglia, credono profondamente all’immortalità, si ingozzano aspettando che i posteri dilapidino.  Nessuna cultura del bene pubblico, del bene comune.

Eppure qui alle porte hanno un esempio nobile da seguire il FAI (Fondo ambiente italiano) che, fondato e condotto da una borghesia intelligente, ha salvato e salvaguardato beni straordinari con forza e tenacia.

Non è forse giunto il momento di creare un FATI (Fondo ambiente Ticino) raggruppando risorse finanziarie e intelligenze che ancora apprezzano il nostro territorio, la sua storia i suoi valori senza depredarlo in modo volgare?

Proposta che, sotto forma diversa, avevo  avanzato, tramite una mozione, già nel 2002, bocciata nel 2005 dal Consiglio di Stato, ma sorprendentemente riabilitata, limitatamente alla Fattoria di Vigino, dal Gran Consiglio nel 2008.

Certamente non sappiamo parlare ai nuovi ricchi, a chi con la finanza mette a ferro e fuoco popoli e stati, forse ci riuscirà Orazio, che in una sua epistola diceva: ” … torna indietro quando ti accorgi che le cose desiderate valgono meno di quelle perdute”.

 



 



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7 settembre 2011 3 07 /09 /settembre /2011 22:26

Lunedì 5 settembre il Consiglio comunale di Mendrisio ha preso una decisione importante che presenta incognite ma anche un passo avanti nella direzione auspicata dal Comitato Parco di Villa Argentina: sulla decisione torneremo settimana prossima. 

Vi è ancora molto lavoro da fare ma vale la pena battersi con tutte le energie e forze per realizzare i sogni che ci hanno animato e ci animano.

 

Desidero dedicare a tutte e a tutti coloro che hanno creduto nella petizione per la ricostituzione del Parco di Villa Argentina un pensiero di due autori particolarmente cari: 

 

il primo di  Clarissa Pinkola Estès presente nel suo ultimo libro pubblicato da Frassinelli, "Forte è la Donna":

 

Sogni: malgrado tutto, noi ci rialzeremo

 

Quando non si facessero più sogni audaci,

anche le azioni audaci sulla Terra cesserebbero.

 

I sogni audaci sono il carburante indispensabile

per il motore del Fare.

 

I sogni audaci sono la miccia d'oro

per la forza vitale dell'Essere.

 

Ciò che non si può sognare

non si può fare.

 

Rialzatevi!

Non impeditevi di sognare,

seminate ovunque i sogni più belli,

i sogni più audaci

sorti dall'Anima con un ruggito.

 

Clarissa Pinkola Estès

 

 

E ora il pensiero di Riccardo Petrella, professore all'Accademia di architettura a Mendrisio, tratto dal suo "Il diritto di sognare" (Sperling & Kupfer Editori):

 

"In ogni società, il possibile è ciò che i poteri in carica considerano permesso, dunque accettabile sul piano politico, economico, sociale ed etico. Rappresenta il campo di gioco ed è delimitato da leggi e regole fissate da chi, legittimamente, per scelta (elezioni) e adesione delle popolazioni, o illegittimamente, attraverso la violenza, ha il potere dell'autorità e della forza. In altre parole, l'impossibile è ciò che i grupppi dominanti considerano inaccettabile, non realizzabile.

Per questa ragione i detentori del potere hanno sempre amato dire che "la politica è l'arte del possibilie", alimentando così lo spirito di conservazione delle leggi e delle regole stabilite; queste sono considerate i soli spazi all'interno dei quali l'azione detta "efficace" è possibile, ivi compresa quella che mira al cambiamento.

  (...) non si può sterilizzare il sogno e ridurlo al "sogno del possibile": il diritto di sognare - il potere del sogno - appartiene a tutti. È ora di incoraggiare e alimentare i sogni che proiettano visioni e strategie dell'avvenire fondate sull'amicizia, la solidarietà e la giustizia, sulla cooperazione e l'uguaglianza (...)"

 

 

 

 

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1 settembre 2011 4 01 /09 /settembre /2011 22:30

Il Parco di Villa Argentina, i beni comuni e la politica

A due anni dalla raccolta di 2'870 adesioni di cittadine e cittadini della Nuova Mendrisio alla petizione “Un magnifico Parco per il magnifico Borgo” promossa dal Comitato Parco di Villa Argentina (marzo-aprile 2009) e dall’inoltro della mozione “Ricostituiamo il Parco di Villa Argentina” (14 ottobre 2009), fra pochi giorni, il 5 settembre, il Consiglio comunale (CC) di Mendrisio prenderà una decisione sul destino del terreno (mappale 3043) oggi di proprietà privata ma dalla fine dell’Ottocento al 1988 parte integrante del comparto di Villa Argentina e del suo Parco. La Commissione speciale del CC incaricata di analizzare la mozione ha rassegnato due rapporti: quello di maggioranza (PLR, Insieme a sinistra, Verdi, Lega-UDC) favorevole alla mozione e quindi all’inserimento del terreno in area verde quale parte integrante del Parco; quello di minoranza (PPD) contrario alla mozione. Il Municipio (il sindaco autoescluso per una questione di collisione) ha mutato radicalmente posizione rispetto a quella sfavorevole alla petizione, espressa durante l’incontro avuto con i rappresentanti del Comitato PVA in data 15 settembre 2009; ora l’Esecutivo chiede che la mozione sia parzialmente accolta: è favorevole all’acquisto del terreno ma non vuole togliere il fondo dalla zona edificabile, riservando la possibilità di costruire opere pubbliche (università, scuole ?).

Cosa sta avvenendo in Ticino?

La vicenda del Parco di Villa Argentina va inserita in un contesto politico più ampio.

Lo straordinario sostegno popolare alla petizione del 2009 non è un fatto isolato, bensì s’inserisce nel più vasto movimento di rinnovamento civile in atto in tutto il nostro Cantone: il paesaggio, i beni culturali e la qualità di vita sono sempre più chiaramente vissuti come beni comuni da difendere attraverso una diffusa mobilitazione.

Citiamo alcuni esempi degli ultimi anni: a Mendrisio la petizione concernente Piazza del Ponte e la presentazione del “Progetto del Laveggio” elaborato dall’associazione “Cittadini per il territorio”; a Besazio la decisione del CC sul terreno in località Sanc; a Balerna il referendum contro la vendita del vecchio campo di calcio; a Melide la mobilitazione promossa dalla Società ticinese per l’arte e la natura (STAN) per salvare la villa “la Romantica” o per villa Branca (ora abbattuta); a Brusino Arsizio l’acquisto di Villa Patria; a Lugano l’articolato e appassionato dibattito sulla distruzione di ville ed edifici culturalmente pregiati e lo scontro tra CC e Municipio sulla variante di piano regolatore sui beni culturali; a Gandria l’opposizione popolare contro un progetto edilizio deturpante; ad Agno la raccolta di firme contro l’insediamento di nuovi centri commerciali; ad Arbedo-Castione l’opposizione allo stadio-mercato; a Locarno le azioni politiche contro l’abbattimento di alberi; ecc.  

 I cittadini si rendono conto che si sta distruggendo irrimediabilmente il patrimonio culturale e naturale del Ticino a un ritmo forsennato, alimentato dalla speculazione edilizia e da un mercato immobiliare sempre più legato a facoltosi acquirenti stranieri e aperto a investimenti esteri (anche di dubbia provenienza, come ipotizzato recentemente dalla polizia e procura federali), con il corollario dell’aumento dei prezzi e della conseguente diminuzione dell’offerta alla portata della popolazione ticinese. Inoltre la qualità delle nuove costruzioni è nella maggioranza dei casi mediocre, come ha sottolineato il prof. Bernhard Furrer nei suoi puntuali, documentati e competenti scritti. I cittadini percepiscono e vivono questi fenomeni come un attacco alla loro identità, al loro territorio, alla loro qualità di vita: di conseguenza si mobilitano creando associazioni e gruppi che si diffondono in tutto il Cantone proponendo una resistenza territoriale (come l’ha definita l’arch. Tita Carloni), aggiungendosi alle meritorie associazioni esistenti già da decenni.   

Politica e società civile

A questo primo aspetto s’unisce quello della reazione della classe politica al risveglio della società civile: nella maggior parte dei casi vi sono pochi politici attivi in questo rinnovamento civile, poiché i più reagiscono stizziti all’“invasione di campo” effettuata da queste associazioni. Umberto Eco ha descritto molto acutamente il rapporto tra classe politica e società civile nell’articolo “Il catalogo degli sconfitti” ripreso da la Repubblica del 2 luglio, di cui propongo un breve passaggio: “(…)Io [Massimo D’Alema] non conosco questa cosa, questa politica che viene fatta dai cittadini e non dalla politica. La politica è un ramo specialistico delle professioni intellettuali. E fino a questo momento non si conoscono società democratiche che hanno potuto fare diversamente (…)”. Giustamente Eco osservava che “Al massimo la società civile chiede che i partiti sappiano rinnovarsi e ne sollecita anzi l'adesione alle sue proposte, intende stimolarli, ricondurli a un contatto diretto con le aspirazioni di vari ceti sociali. (…) Quale rimane dunque la funzione, certamente insostituibile, dei partiti e della "politica" nel momento in cui si dà voce a elementi non professionalmente politici? Non solo quella di interrogare e comprendere le pulsioni, le idee, le aspirazioni che animano la società civile, ma di garantire la continuità di queste espressioni (…) Ed ecco che i partiti devono sentire non solo il dovere di rispondere alle sollecitazioni della società civile, ma anche quello di sollecitare queste sollecitazioni. Per poi ovviamente incanalarle nelle forme parlamentari e governative l'accesso alle quali non può che avvenire tramite i partiti (…)”. Lo scollamento tra cittadini e partiti politici sta tutto qui.

La votazione in Consiglio comunale

A Mendrisio attorno al Parco di Villa Argentina s’è costituita una larga maggioranza politica in seno alla Commissione speciale del CC a sostegno della mozione e della ricostituzione del Parco: PLR, Insieme a sinistra, Verdi e Lega-UDC. Tale maggioranza ha fatto modificare la posizione del Municipio, almeno parzialmente.

Ci auguriamo che anche il Consiglio comunale (i cui membri purtroppo non hanno ricevuto unitamente al messaggio municipale i due principali documenti che spiegano il valore culturale, storico e artistico del comparto di Villa Argentina: la decisione del Dipartimento dell’ambiente del 12 agosto 1985 e la relazione dell’ottobre 1993 dell’arch. Niccardo Righetti) sappia tenere in considerazione le esigenze espresse dai cittadini della Nuova Mendrisio che hanno sottoscritto la petizione, stanchi della cementificazione che “tra il 1985 e 1997 è aumentata al ritmo di oltre 2 mq ogni dieci minuti” (Studio strategico) e favorevoli alla ricostituzione del Parco di Villa Argentina nella massima estensione oggi possibile, da inserire a piano regolatore quale zona verde: un comparto che fu iscritto nel 1985 nell’elenco dei monumenti storici e artistici del Cantone Ticino perché “(…) raro esempio integro di spazio disegnato dell’Ottocento nel Mendrisiotto (…)” che merita una giusta valorizzazione.

Tiziano Fontana

 

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29 agosto 2011 1 29 /08 /agosto /2011 23:14
Sul Giornale del popolo del 20 marzo 2010 è apparso l'articolo di Tarcisio Cima "Territorio e lacrime di coccodrillo" che non ha perso nulla in attualità.

Non condividiamo un'idea espressa nell'articolo: se l'idea di stadio-centri commerciali è demenziale (soprattutto quella ipotizzata nel 2010 e che ora sembra fortunatamente sfumata)  non ci sembra neppure buona quella di insediare attività industriali: perché mai si dovrebbe cementificare ogni spazio ancora verde con industrie? per fare la fine di San Martino o del Pian Faloppia?

Infatti il cosiddetto Parco tecnologico del Pian Faloppia dovrebbe insegnare qualcosa! Non doveva essere "un progetto che privilegia e sostiene l'insediamento di imprese innovative" (come si legge nel sito internet pianfaloppia.com)? 150'000 mq che non sono stati occupati da imprese innovative, bensì occupati dalla logistica, altro mostro-ingoia-spazio - assieme ai centri commerciali - di questi decenni, che si sta mangiando il Mendrisiotto, come ha ben spiegato l'arch. Tita Carloni in diversi scritti e conferenze.

Sempre sul sito citato si legge una vera perla (evviva la coerenza: bello sviluppo tecnologico-industriale!): "La presenza di ottime infrastrutture stradali, autostradali e ferroviarie, l'ottima dotazione di reti di comunicazione telematiche, la vicinanza con importanti piazze finanziarie e il diffuso multilinguismo della forza lavoro hanno negli anni favorito l'insediamento di colossi nel campo della logistica, quali Goth, Gondrand, ABX Saina, Hoyer, Schenker, Hupac. (...)": ma dove sono finite le "imprese innovative"?

Bisognerebbe ristudiare, per tutto il Cantone, le vere necessità a cominciare da tutte le aree destinate all'industria e all'artigianato occupate abusivamente dai centri commerciali - o meglio, con la complicità delle autorità politiche - o non occupate e rimaste cattedrali nel deserto; poi bisognerebbe anche seriamente difendere quelle destinate all'agricoltura, attività vitale vergognosamente sacrificata da tutti!

 

TERRITORIO E LACRIME DI COCCODRILLO
Forse sarebbe più dignitoso se la smettessimo di lamentarci per come abbiamo maltrattato il territorio urbano e suburbano ticinese. Perché sono in gran parte lacrime di coccodrillo. Il coccodrillo che, dopo aver dilaniato per l’ennesima volta le carni vive della vittima, versa lacrime abbondanti, nell’attesa - brevissima - che gli ritorni l’appetito. Certamente tutte lacrime di coccodrillo sono quelle versate per deplorare la disordinata proliferazione dei centri commerciali. Quasi tutti, compresi molti di coloro che l’hanno voluto e attuato in prima persona, criticano quanto è stato fatto: l’aver sacrificato ai centri commerciali - nella più completa anarchia - il Pian Scairolo, la Piana di San Martino a Mendrisio, ampie zone sui due lati del Piano di Magadino (da Camorino a Quartino, da Riazzino a Tenero), una vasta area a Castione, senza contare gli innumerevoli insediamenti, vecchi e nuovi, sparsi per ogni dove. Eppure si continua allegramente a costruire, a progettare, a discutere di nuovi insediamenti. Alcuni di essi, i più grossi, sono ora abbinati alla costruzione di un nuovo stadio per il calcio, ormai diventato il moderno cavallo di Troia per introdurre nella mai sazia "citta-Ticino" nuovi centri commerciali. Non so se in Ticino siano necessari uno o più nuovi stadi. Può anche darsi che lo siano.
Ma il politico che si batte (legittimamente) per l’uno o l’altro progetto deve sapere – e deve dirlo ai suoi elettori – che anche uno solo, ovunque lo si realizzi, quali che siano i promotori iniziali e l’abbinamento con altre attività, entro poco tempo resterà interamente sul gobbo dell’ente pubblico, cioè dei cittadini. Non ha insegnato niente la travagliata vicenda degli impianti di risalita? Nel solo Bellinzonese addirittura tre ubicazioni si contendono, con fortune alterne, l’ambita realizzazione. Nessuno demorde, ognuno continua imperterrito ad investire energie e risorse finanziare pubbliche e private. Al momento attuale sembra avere il vento in poppa il progetto di Castione. Qui una società italiana propone il modello della “cittàmercato”, meglio conosciuto in Italia con il nome di “outlet”: un investimento da 250 milioni di franchi, oltre un centinaio di negozi di ogni genere su 50.000 mq di superficie, con l’aggiunta delle strutture ed attività più disparate: 4-5 ristoranti, sale gioco, bowling, spazi per manifestazioni, wellness, poliambulatorio medico, laboratorio dentistico polivalente, ufficio di rappresentanza comunale, perfino una “città dei bambini”, dove questi verranno parcheggiati – per non disturbare gli acquisti degli adulti – e potranno «imparare ad impastare e cuocere il pane o a fabbricare il cioccolato». E lo stadio in aggiunta, ormai quasi solo come “optional”. Pure una “città del sesso” nei paraggi?
A me sembra che l’offerta di centri commerciali in Ticino sia già ora sovrabbondante, abnorme perfino, rispetto alle necessità dei ticinesi, dei turisti che soggiornano in Ticino, di quelli che lo attraversano e pure di quelli che ci vengono solo per gli acquisti. È mai possibile che non riusciamo a vedere e a porci un qualche limite in questo campo? Veramente riteniamo sensato e sopportabile per il territorio realizzare a Castione un gigantesco complesso commerciale che, nelle intenzioni dei promotori, vuole attirare 5 milioni di clienti all’anno, un terzo dei quali dovrebbe provenire da 200-300 km di distanza, a 2-3 ore di trasferta in auto? Siamo sicuri che l’attuale interesse degli italiani per gli acquisti in Ticino rimarrà tale nel tempo? Non ha insegnato nulla la storia delle altalenanti fortune (e sfortune) del commercio di frontiera nel Mendrisiotto? Più che a nuovi insediamenti, non sarebbe meglio pensare a mettere un minimo di ordine e di qualità nel marasma di quelli esistenti?
In Ticino abbiamo ancora pregevoli centri di città e di borghi, la cui vitalità è però sempre più minacciata dal moltiplicarsi di centri di acquisto ai loro margini. Pensiamo a recuperare e valorizzare, anche dal punto di vista commerciale e turistico, quel prezioso patrimonio originario, piuttosto che inventarci nuovi mostruosi surrogati artificiali nell’immediata periferia. A Castione la “città-mercato” dovrebbe sorgere su quella che oggi per il Piano regolatore comunale è zona industriale. Una zona industriale piuttosto dimessa ed “incasinata” come tante altre, ma che rappresenta forse l’ultima area di una certa ampiezza – ed ottimamente posizionata – sulla quale si potrebbe organizzare ed attrezzare una moderna zona industriale degna di questo nome. Non c’è programma di partito, non c’è politico che non proclami la necessità di mantenere e sviluppare un settore industriale forte e competitivo, di puntare sulle tecnologie più avanzate e sugli ambiti di attività più promettenti; attorno alla lotta per la salvaguardia delle Officine di Bellinzona è nata l’idea di costruire un “polo tecnologico” dedicato al settore dei trasporti ferroviari. Ma dove le mettiamo poi tutte queste belle attività, se ogni spazio pianeggiante ancora disponibile lo riempiamo di depositi, di magazzini e di centri commerciali?
TARCISIO CIMA

  

Riproponiamo anche l'articolo che accompagnava quello di Cima, così da avere la visione completa.

 

Anche Castione pianifica la sua città dello shopping

Sottoposto al Cantone il Piano che apre la strada a stadio e centro commerciale. Rilancio dell’area industriale ad ovest della ferrovia, riordino del tessuto residenziale e viario, più la “prima ticinese” di una zona a luci rosse. E se dovesse arrivare lo stadio...

 

Arbedo-Castione pensa in grande. Con il suo Piano d’indirizzo consegnato giovedì scorso al Dipartimento del Territorio, mette sul piatto un menù urbanistico completo e variegato che comprende il rilancio dell’area industriale e commerciale ad ovest della linea ferroviaria, il riordino dell’attuale comparto commerciale e residenziale ad est (zona Coop), la sistemazione dell’assetto viario in generale (comprese piste ciclabili e pedonabili) e persino, prima assoluta in Ticino, la destinazione di una precisa area per l’insediamento di locali a luci rosse. Ma Arbedo- Castione conta anche di stravincere il “derby” con la città di Bellinzona candidandosi a luogo ideale per il futuro stadio granata con centro commerciale annesso e connesso. Un progetto ambizioso e, per molti aspetti un “unicum” che, dopo l’esame preliminare del Cantone (previsto in circa quattro mesi), costituirà la premessa di una variante di Piano regolatore che dovrebbe approdare per l’approvazione in Consiglio comunale entro la fine dell’anno.
Quello presentato giovedì è l’anteprima di uno strumento pianificatorio, come hanno sottolineato all’unisono il sindaco di Arbedo-Castione Luigi Decarli e il direttore del Dipartimento del territorio Marco Borradori, che rappresenta un progetto modello nonché pilota di sviluppo sostenibile e non solo del polo bellinzonese ma anche di tutto il Cantone. «È dal 2006, sempre in accordo e in collaborazione con il Cantone, che stiamo lavorando a questa variante di Piano regolatore», ha ricordato Decarli.
Borradori ha invece spiegato che a dare una spinta alla valorizzazione di un’area industriale programmata dalla pianificazione cantonale, ma mai decollata - 375’000 mq. di superficie da sfruttare per insediamenti produttivi rimasti praticamente sulla carta - ci hanno pensato le FFS con l’investimento nello scalo di Castione come punto nodale della rete ferroviaria TILO. Un ulteriore input è certamente arrivato nell’ultimo anno, quando s’è palesata la possibilità di costruire, a ridosso di ferrovia e svincoli autostradali già esistenti, il nuovo stadio del Bellinzona. Centro commerciale e stadio, come ha ricordato Decarli, che saranno chiaramente i volani e le priorità del progetto di “Nuova Castione”. Se si arriverà alla licenza edilizia e a posare la prima pietra, tutto si muoverà intorno a questa “cittadella” dello shopping e dello sport. Con particolare attenzione, ha spiegato Decarli, ad una viabilità sostenibile e non invasiva «che permetta alla nuova area commerciale di svilupparsi restituendo una destinazione tipicamente residenziale e più ordinata al nucleo di Castione». 
MAURO GIACOMETTI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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19 agosto 2011 5 19 /08 /agosto /2011 23:40

Riproponiamo l'intervista apparsa su La Regione del 5 marzo 2007 fatta da Leonardo Terzi all'arch. Tita Carloni concernente la distruzione di palazzi storici a Lugano e allo stravolgimento del territorio ticinese: è attualissima e molto stimolante per capire quanto sta avvenendo a Lugano ma anche a Mendrisio.

 

 Lo scippo del territorio

La Romantica e Villa Branca a Me­lide sotto le ruspe per far posto a “re­sidence”; storiche dimore luganesi che seguono lo stesso destino, sosti­tuite da palazzi di cemento alti 7 pia­ni; improbabili complessi hollywoo­diani che spuntano lungo le rive del lago nei pochi punti ancora inconta­minati. La cronaca recente è piena di gridi d’allarme, liste rosse di edifici storici minacciati, tutto inutile: le ra­gioni del denaro sono più forti e le ru­spe arrivano puntualmente a fare il loro lavoro. Tita Carloni, architetto di Rovio fra i più prestigiosi della scena svizzera, si occupa da tempo di questi misfatti e ha recentemente pubblica­to un proprio contributo su “Area” su quanto sta succedendo intorno al lago di Lugano. Lo abbiamo intervi­stato per approfondire la questione.

 

Per cominciare, architetto Car­loni, questi progetti rispettano i piani regolatori. C’è qualcosa di sbagliato proprio nei Pr, oppure alla cittadinanza va bene così?

 

«Sì, i progetti menzionati sono tutti in linea con i piani regolatori, i quali sono nati una trentina d’anni fa ba­sandosi su un presupposto indicato come “regole” delle centrali della pia­nificazione ufficiale, federale e canto­nale. Il dimensionamento di un piano regolatore si basava su un possibile raddoppio della popolazione locale come limite massimo. L’ipotesi era che nel giro di una ventina, trentina d’an­ni (durata media di un piano regolato­re) ciò non avvenisse e si arrivasse al massimo ad utilizzare un 20% delle aree edificabili. In più vi era la convin­zione (o ingenua o ipocrita) che la cre­scita avvenisse nell’ambito della popo­lazione locale, in un quadro di civiltà, di moderazione e di rispetto dei valori comunitari. I municipi ed i consigli co­munali giocavano il gioco, spesso pilo­tati direttamente o indirettamente da interessi immobiliari e speculativi (imprese, fiduciari, immobiliaristi, professionisti, mediatori). Nessuno, o quasi nessuno, avvertì i cittadini di quanto avrebbe potuto succedere, e cioè che il mercato immobiliare si sarebbe appropriato di questi meccanismi di crescita traducendo un limitato biso­gno reale in un affare su larga scala».

 

In fondo anche i signorotti di un tempo avevano invaso il territorio con le loro ville. Che erano pure meno “ democratiche” delle mo­derne case d’appartamenti. O no?

 

«Sulle rive dei laghi c’erano i vecchi villaggi e attorno campagne, boschi ed incolti. Alla fine del Settecento e nel­l’Ottocento l’aristocrazia illuminata e la nuova borghesia costruirono alcune ville con parchi attorno, in posizione di autonomia rispetto ai vecchi villag­gi e con grandi spazi attorno. Ma quel­l’aristocrazia e quella borghesia oltre alla grande ricchezza (ottenuta spesso sulla pelle della povera gente) avevano la cultura: anche la cultura architetto­nica, in più di quella letteraria, scien­tifica, artistica. E chiamavano ad ope­rare architetti ed artisti di valore. Ma cosa sono in generale i nuovi ricchi di adesso? Che cultura hanno? Che cono­scenza del territorio? Come abitano? Chiaro che l’800 aristocratico borghese non era particolarmente democratico; ma è forse democratico il mondo attua­le della borsa, degli investimenti spe­culativi, delle imprese immobiliari con i loro sprechi, i loro consumi, la loro incontenibile mobilità e loro condomi­ni occupati per qualche settimana al­l’anno, le loro seconde e terze case per le varie stagioni e così via? Il territorio che nasce adesso riflette semplicemente questo disordine, altro che “democra­zia”».

 

La percezione negativa rispetto alle novità non è forse dovuta al fatto che la tendenza a costruire sempre più fitto sembra irreversi­bile? Non ci vorrebbe una facoltà di de-architettura, che insegni a demolire gli orrori ?

 

«Ogni edificio ha in sé un valore in­corporato di lavoro, di materiali, di merci, di costi finanziari che non può essere cancellato con un semplice col­po di spugna. Affinché un edificio di­venti oggettivamente demolibile devo­no passare almeno cinquant’anni, ma di regola occorrono anche di più. Le città medioevali hanno potuto essere demolite sono nell’ 800 (Parigi, Vien­na, il Sassello di Lugano addirittura nel ’ 900). Le ville borghesi della prima metà del ‘900 sono divenute “demoli­bili” negli ultimi 20 o 10 anni, a Luga­no ed a Locarno.
Quindi non è che occorra in sé una facoltà di de-architettura. Al momen­to opportuno bastano le ruspe. Ma una facoltà che si interessasse di più ad una riconversione praticabile ed intelligente del territorio sarebbe molto utile. Nelle facoltà di architet­tura si continua ad insegnare che crescere è bello, che l’architettura è una pratica estensiva per natura, de­stinata a sottrarre felicemente ed ar­tisticamente sempre maggiore spazio alla natura.
Riparare e magari un po’ ridurre quello che c’è non interessa, si direb­be, a nessuno. Non è abbastanza crea­tivo. E allora c’è poco da sperare, al­meno per il momento
».

L’architetto ‘obiettore di coscienza’ - La categoria ha responsabilità, ma anche attenuanti.
Lei come architetto non sente di avere delle respon­sabilità in questo processo?


«Per l’architetto esiste, in una certa qual misura, l’obie­zione di coscienza. C’è chi la esercita un po’, e chi niente. Fare l’obiettore di coscienza (cioè non accettare determinati mandati) è difficile perché biso­gna anche campare e pagare i propri collaboratori. Ma non è del tutto impossibile. Ognuno fa poi quello che si sente di fare. Ma ci sono certamente delle so­glie che non possono essere su­perate, quando l’iniziativa è al­tamente speculativa, distrutti­va, in poche parole sporca.

Se chiede a me personalmente le dirò che ho cercato di fare il possibile per un’architettura ed un territorio decenti. Proget­tando qualche volta anche case d’appartamenti in città dove l’arte consisteva nel cercare di creare, entro limiti finanziari molto restrittivi e tempi molto serrati, locali un po’ più gran­di, qualche piccola comodità in più, qualche spazio un po’ più godibile, facciate pubblicamen­te accettabili.

Sento di aver mancato più volte sul piano pubblico, non denunciando pia­nificazioni cattive, politiche del territorio scadenti, singole ope­razioni negative. Ma sono fiero di un piccolo episodio. Una vol­ta a Ginevra una signora mi chiamò per progettare una grande villa su una collina. Andammo a visitare il terreno. Era un grande campo di grano con alcune querce secolari at­torno. Rinunciai al mandato e, conigliescamente, raccomandai alla signora un mio collega. Devo aggiungere che me lo potei permettere perché insegnavo e alla fine del mese ricevevo rego­larmente un salario».

 

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15 agosto 2011 1 15 /08 /agosto /2011 23:50

Pubblichiamo stralci dell'intervista al Procuratore federale Pierluigi Pasi, apparsa sul Giornale del Popolo in data 25 luglio 2011, a firma Nicola Mazzi, poiché ci interessa l'aspetto legato al settore immobiliare, con le infiltrazioni delle organizzazioni criminali in Ticino e la richiesta di modifiche legislative avanzate dal Procuratore.

Ci saranno politici che rispondono all'appello?

Qual'è la parte del mercato immobiliare legata agli investimenti delle organizzazioni criminali che puliscono così i loro capitali sporchi, distruggendo il nostro territorio, favorendo l'esplosione dei prezzi e del numero di residenze secondarie a scapito del ceto medio? A quando uno studio serio su questo fenomeno?

 

 

"Per il procuratore federale Pierluigi Pasi l’immobiliare è un settore vulnerabile - «La politica può fare di più contro le infiltrazioni mafiose»

 

In Svizzera, a differenza di quanto capita con i depositi di importanti somme di denaro, manca una legge che verifichi la provenienza del denaro di chi acquista un immobile.

A far scalpore e parecchio discutere, qualche settimana or sono, è stata la pubblicazione del rapporto dell’Ufficio federale di polizia secondo cui in Svizzera (ma anche in Ticino), vi sarebbero infiltrazioni mafiose. Un documento sul quale il procuratore federale Pierluigi Pasi è intervenuto una prima volta sul CdT (11.7.2011, Mafia strisciante, spesso gli allarmi sono inascoltati) e a proposito del quale torna su queste colonne approfondendo alcuni, intriganti, temi. In particolare evidenzia alcune carenze legislative (evidenti in campo immobiliare) che la politica dovrebbe colmare, ma spiega anche come la Ndrangheta, rispetto ad altre organizzazioni mafiose, è caratterizzata da cellule indipendenti e quindi più avvezze a trovare dei “contatti” locali. (...) 

 

Qual è il suo parere sulla situazione attuale e sulla reale presenza della ’Ndrangheta calabrese in Ticino?
Condivido sostanzialmente ciò che l’Ufficio federale di polizia scrive nel suo recente rapporto: quanto vi si può leggere noi lo costatiamo svolgendo le nostre indagini. Credo che il campanello d’allarme che l’Ufficio federale di polizia ormai da alcuni anni suona in questi suoi rapporti sia assolutamente giustificato e credo anche che sarebbe un errore
perseverare nel sottovalutare i segnali che lì sono illustrati.

 

Per le cosche calabresi quale ruolo sta assumendo il Ticino e la Svizzera?
Ho l’impressione che il nostro Paese, con i Cantoni che confinano con l’Italia ed i grossi centri urbani, rischi di assumere il ruolo di rifugio, insomma di "ridotto" soprattutto a seguito della forte pressione che in Italia magistratura e forze di polizia stanno esercitando sulle organizzazioni criminali mafiose, in primo luogo su quelle di stampo ’ndranghetistico: questa è la vera novità degli ultimi anni. Per il resto la Svizzera era e resta molto attrattiva per i capitali mafiosi esattamente come lo erano e lo sono altri Paesi dotati di piazze finanziarie efficienti o in cui vi sono possibilità d’investimento redditizie in svariate attività o settori di facciata lecita. Ma questo è fisiologico ed inevitabile
.


Secondo lei, ovviamente nel rispetto del segreto d’inchiesta, è possibile sapere se i clan abbiano degli agganci locali? In quali settori?
È inevitabile e naturale che li abbiano o che perlomeno cerchino di averli, soprattutto nei settori che possono avere uno sbocco nelle attività sfruttabili per il riciclaggio; mi riferisco agli ambienti bancari o parabancari, a quelli dell’intermediazione finanziaria, insomma ai professionisti della piazza
. Questo ancora non significa che tali "agganci" ovvero gli interlocutori si possano sempre e immediatamente rendere conto di chi hanno di fronte. È evidente però che taluni segnali dovrebbero portare chiunque alla dovuta cautela: penso soprattutto alla grossa disponibilità di denaro con la ritrosia nello spiegarne la provenienza oppure alla propensione non spiegabile ad accontentarsi di margini di guadagno troppo sottili o ad investire in attività con alti margini di rischio. Qui se applicata a dovere la nostra legislazione antiriciclaggio, che è di buon livello, è uno strumento efficace di prevenzione. È pur vero che, dal canto suo, secondo me il settore immobiliare è effettivamente un po’ scoperto.
 

(...)

 

Per combattere questi fenomeni malavitosi in modo più efficace quali potrebbero essere le ulteriori misure da mettere in atto? Che cosa può chiedere la Magistratura alla politica?
Dicessi maggiori mezzi, maggiori risorse umane non sbaglierei; ma non direi nulla di nuovo e soprattutto toccherei un tasto ricorrente nelle discussioni attorno alle problematiche relative a ordine pubblico, sicurezza e giustizia. Dirò allora sviluppare gli strumenti legislativi che permettono da un lato di lottare contro il riciclaggio e dall’altro di mettere le mani, confiscandoli, sugli ingentissimi capitali che la criminalità organizzata è in grado di accumulare. Il volume d’affari delle organizzazioni criminali mafiose è di molte decine di miliardi di euro all’anno; sarebbe ingenuo pensare che esse non abbiano cercato e non cerchino di dare riparo a parte di questi capitali in Svizzera. Ebbene anche noi, sul piano internazionale, dobbiamo continuare a fare la nostra parte cercando di sottrarre loro queste immense ricchezze. Ecco perché io credo sia necessario riflettere su temi quali la prescrizione nel reato di riciclaggio e soprattutto su quello della confisca degli utili che tali organizzazioni mafiose conseguono all’estero e trasferiscono in Svizzera.


Come sono i vostri rapporti con la Procura cantonale? Su questi temi avete dei contatti o delle collaborazioni? Oppure questo tipo di inchiesta è "blindata" e di pura competenza federale?
Non constato problemi nei nostri rapporti; (...) Nell’ambito del contrasto al crimine organizzato è fondamentale la raccolta e l’elaborazione di informazioni: a noi serve scambiarle e raccoglierle, già a livello di polizia e dai vari altri settori dell’Amministrazione anche cantonale. L’organizzazione ormai simile che le due Procure hanno per effetto delle recenti nuove norme di procedura unificate secondo me dovrebbero facilitare i contatti e gli scambi di informazione, in un senso e nell’altro. Ci siamo del resto anche in passato offerti di collaborare in gruppi di lavoro in tema di organizzazioni criminali."

 

 

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10 agosto 2011 3 10 /08 /agosto /2011 22:10

Su richiesta di amici del Parco pubblichiamo sul blog il comunicato stampa inviato ai quotidiani La Regione, Corriere del Ticino e Giornale del Popolo e a L'Informatore il 14 giugno 2011, concernente il messaggio municipale sulla mozione "Ricostituiamo il Parco di Villa Argentina" che dovrebbe passare nella seduta del 5 settembre 2011 del Consiglio comunale. 

 

Diamo un'informazione che interessa sicuramente gli amici che hanno sollecitato la pubblicazione del comunicato: se andate nel sito internet del Comune di Mendrisio [fatto questa sera] sotto la voce "Consiglio comunale - mozione" trovate il testo della mozione "Ricostituiamo il Parco di Villa Argentina", i due rapporti della Commissione ad hoc e il messaggio municipale: ma il rapporto preliminare del Municipio non è stato pubblicato: come mai?

Stranamente per la mozione Restyling vi sono testo della mozione, del rapporto preliminare, del rapporto commissionale e del messaggio municipale: giustamente vi è anche quello del rapporto preliminare.

Nel caso della mozione sul Parco si tratta allora di una dimenticanza ? Non crediamo minimamente a dimenticanze: nella vicenda del Parco di Villa Argentina ve ne sono state troppe e tutte contro il Parco!  

Nelle prime pagine di quel rapporto preliminare vi erano considerazioni vergognose che meritano d'essere ricordate a futura memoria del valore di chi l'ha steso e approvato. Comunque troverete (nei prossimi giorni) ampi stralci nella rubrica Pagine del nostro Blog e già pubblicati negli articoli dell'11 febbraio e del 24 febbraio; il rapporto è stato commentato nelle osservazioni pubblicate in data 27 febbraio, 3 marzo e 6 marzo 2011 sempre su questo blog.

 

 

Comunicato stampa

 

Il Comitato Parco di Villa Argentina, preso atto del messaggio del municipio di Mendrisio del 27 maggio 2011 concernente la mozione 16.11.2009 “Ricostituiamo il Parco di Villa Argentina”, desidera comunicare che:

 

1.    Considera positivamente il cambiamento di posizione operato dall’Esecutivo di Mendrisio rispetto al Rapporto preliminare del 6 maggio 2010 e in particolare apprezza le affermazioni municipali secondo le quali “L’auspicabile conservazione del parco si pone quindi quale elemento di grande importanza ai fini del miglioramento della qualità di vita” e “La possibile estensione del parco di Villa Argentina risponde a diversi obiettivi: garantire la conservazione di un parco unico nel suo genere; estendere uno spazio verde all’interno di un comparto centrale ad alto contenuto pubblico” (pag. 6 del MM);

 

2.    Ritiene essenziale l’abbandono della destinazione edificabile, tramite insediamenti di edilizia privata, dell’area in questione;

 

3.     Ribadisce l’unicità del comparto di Villa Argentina sia per la sua ragguardevole estensione, sia perché inserito a Piano Regolatore in un contesto di zone aventi la specifica destinazione di attrezzature pubbliche (parco giochi, scuole elementari, casa anziani, istituto Torriani, università), elementi che ne determinano il valore di Parco urbano con le proprie specifiche funzioni;

 

4.    Ritiene possibile, nel rispetto dello spirito della petizione “Un magnifico Parco per il magnifico Borgo” sottoscritta da 2’870 cittadine e cittadini della Nuova Mendrisio, l’inserimento di limitate attrezzature pubbliche che fungano da supporto alle specifiche funzioni di Parco urbano, che deve essere sia luogo di svago raggiungibile facilmente da famiglie con bambini, anziani, scolaresche, sia luogo di relazione tra le cinque realtà che possono interagire in quell’area (popolazione, scuole comunali, casa anziani, Istituto Torriani, università) sia luogo di memoria storica, paesaggistica e culturale;

 

5.    Ribadisce che preservare il comparto di Villa Argentina è una contropartita alla scomparsa di aree verdi urbane e alla forte e caotica urbanizzazione conosciuta in particolare nell’area di San Martino.

 

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7 agosto 2011 7 07 /08 /agosto /2011 22:20

Riprendiamo una parte dell'intervista che la giornalista de La Regione, Daniela Carugati, ha fatto al Sindaco di Mendrisio (cfr. edizione del 29 luglio 2011).

A quanto pare il municipiodi Mendrisio ha "deciso di mantenere per intero" il parco di Villa Argentina: ma se si legge il messaggio municipale concernente la mozione fatta in difesa del parco si vedrà che l'esecutivo lascia aperta la possibilità edificatoria in funzione di opere scolastiche o universitarie: si dovrà chirire la questione e, se fosse il caso, si continuerà la battaglia in difesa dell'area verde!

Tutta da interpretare è la frase "questa è la volontà politica del Municipio: dove ci sono dei valori veri andiamo a conservarli": i "valori veri" dei municipali sono i veri valori dei cittadini? Abbiamo un forte dubbio: infatti se si rilegge il rapporto preliminare del municipio del 2010 (conviene ed è indispensabile per ricordare a che bassezze sono scesi) non si può che rimanere allibiti: allora quel terreno non aveva alcun valore mentre ora sì; ma che politica è mai questa?  

Torneremo in un'altra occasione su  altri punti che abbiamo messo in evidenza perché particolarmente interessanti.

 

Diamo anche un'informazione sul terreno privato. Un "angelo custode" del comparto di Villa Argentina ci ha segnalato a metà luglio che operai stavano togliendo le modine dall'area retrostante il muro del belvedere protetto (ma lasciato andare in malora): troverete le relative fotografie nella rubrica specifica che ritraggono il prato, tornato libero da quei pali che sembravano scheletri infernali.

Chissà perché sono stati tolti (con tanto di motosega): forse in vista della votazione del Consiglio comunale di settembre? 

 

 

"La città Mendrisio, secondo Croci  (La Regione, 28 luglio 2011)

(...)

Quell’idea di città
Da subito Mendrisio si aspetta di ricevere un sostegno finanziario base – pena lo ‘stop’ alla fusione –, almeno un aiuto ‘mini’ come l’aggregazione. O meglio come una tappa intermedia in un disegno più grande. Da sindaco, la ‘sua’ città se la figurava così fin dall’inizio? È la stessa che adesso le si para davanti? « Qualche idea l’ho sempre avuta – ci risponde Croci –. Certo poi ti arriva l’Università, e questo non lo puoi prevedere. E l’Usi è stata la grande opportunità di Mendrisio. Un’opportunità non programmabile. È stato in assoluto il primo dossier che mi sono trovato sul tavolo da sindaco, e che, come amministrazione, abbiamo seguito a fondo. Ma l’idea della città, dell’equilibrio, del polo economico le ho sempre avute in testa, anche per formazione scolastica ». A proposito di università e di opportunità: è stata colta davvero appieno (anche dalla popolazione)? « Penso proprio di sì, pensando alla sua valenza in una realtà territoriale come quella del capoluogo. Eppoi siamo ancora agli inizi: l’Accademia e l’Usi sono molto giovani. È un investimento costante nel tempo, da coltivare da parte del governo come dei Comuni. E ancora di più l’università, gli studi d’eccellenza rappresentano una delle grandi risorse del Ticino. Fra qualche anno con Alp-Transit il cantone potrebbe diventare solo un territorio di passaggio, con un’istituzione universitaria riusciamo a trattenere degli interessi. Altrimenti, Zurigo dialoga con Milano e noi facciamo da spettatori. Ecco perché non abbiamo esitato un attimo, anche ora nell’acquisire il terreno che darà modo di realizzare l’insediamento della Supsi nel comparto della stazione, una scelta in se stessa innovativa quanto straordinaria, che amplierà il bacino di riferimento ».
... e di territorio
Mendrisio si è ritrovata fra capo e collo anche un’altra occasione, quella di poter ripensare il territorio. Memore anche di quanto capitato sulla piana di San Martino. «San Martino è sicuramente un tema. Oltre che un crocevia di traffici, un luogo ‘fast’, veloce, di incontro – sarà lì lo snodo, quindi lo scalo della linea ferroviaria Mendrisio-Varese, ndr – . Un comparto che è giusto sia regolamentato attraverso gli strumenti pianificatori. Adesso l’opera davvero necessaria è lo svincolo autostradale. La reazione a San Martino, comunque, è che là dove si incontrano i grossi traffici c’è la velocità, c’è il cemento, ma attorno cerchiamo di costruire una città consapevole, rispettosa dell’ambiente: è tutto intorno che dobbiamo proteggere il sistema. L’esempio è la scelta operata a favore del parco di Villa Argentina, che si è deciso di mantenere per intero, trasferendo invece gli indici edificabili nella zona del campus universitario, permettendo in questo modo all’università di crescere. Questa è la volontà politica del Municipio: dove ci sono dei valori veri andiamo a conservarli». Del resto, dai Comuni – Mendrisio, come Riva San Vitale, che si batte per la proprietà Brazzola, o Brusino Arsizio che si è mobilitato per Villa Patria – vengono dei segnali interessanti (e nuovi) a tutela del patrimonio storico e ambientale locale. « Penso che là dove ci sono delle costruzioni di un certo valore (come le rive del lago), se ne ha la possibilità l’ente pubblico dovrebbe cercare di recuperarle ».


Valera, non solo verde
Il nodo d’altro canto è, una volta di più, la gestione del territorio. Come a Valera. « Che è un tema complicato. La pianificazione precedente è stata completamente azzerata dal CdS, anche ragionevolmente: c’erano due Comuni – Rancate e Ligornetto, all’epoca, ndr – e due pianificazioni un po’ in competizione, pur cercando, i Municipi, di fare del loro meglio. Ci doveva essere una condivisione di vedute.
Ora fra Mendrisio – di cui Rancate è quartiere, ndr – e Ligornetto c’è un’intesa perfetta. Il tema adesso – spiega Croci – è capire le misure di Valera. È indubbio che dovrà esserci un recupero, di verde (nella parte dell’alveo del Laveggio che merita di essere rinaturata, e ci vorranno milioni per farlo) – si parla di dieci, ndr –, ma è altresì indubbio che essendo una zona, nella parte alta, già lavorativa e a contatto con le arterie stradali, quel luogo non ha alcuna vocazione verde. Stiamo quindi cercando di comprendere se una parziale, e ridimensionata, attività lavorativa, appunto nella parte alta già costruita, soppesandone bene i contenuti (non vogliamo fabbriche e capannoni) possa essere una soluzione in grado di valorizzare l’area. Certo siamo ancora in fase di studio». Non sarebbe, però, l’opportunità per avere il coraggio di osare? «Laddove esiste una vocazione lavorativa non è pensabile, anche economicamente, di annullare tutto – richiama Croci tracciando su un foglio uno schizzo di Valera –. L’unica via che abbiamo, in altre parole, è quella del compromesso. D’altro canto l’operazione sul piano espropriativo non sarebbe sostenibile, non convertendo 80 mila metri quadri a verde. Non ci si può sempre permettere di essere idealisti ». E la cifra utile e che sussurrano gli esperti è di svariate decine di milioni, come dire diversi punti di moltiplicatore. (...)"

 

 

 

 

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1 agosto 2011 1 01 /08 /agosto /2011 22:17

Oggi si festeggia la nostra bella patria: bella per il paesaggio, per determinati valori che l'hanno ispirata nel corso dei secoli e anche per aver dato i natali o ospitalità a persone straordinarie, come Denis de Rougemont.

Di questo filosofo e scrittore, nato a Neuchâtel nel 1905, abbiamo ripreso nelle Pagine una definizione di città che dovrebbe ispirare i politici degni di tale nome.

 

Oggi ci sembra buona cosa citare alcuni passaggi dell'intervista che Guido Ferrari gli fece per la Televisione della Svizzera italiana nel mese di settembre del 1985, a pochi mesi dalla sua scomparsa; l'intervista è stata pubblicata nella pregevole collana "testimoni allo specchio" pubblicata da Jaca Book /Casagrande.

 

"Ci sono due grandi finalità che dividono l'umanità e che agiscono in ogni uomo: la potenza, da una parte, e la libertà dall'altra. 

In entrambi i casi si tratta di un potere. La potenza - mi stia bene a sentire perché rissume tutto il mio pensiero in proposito - è il potere che si vuole prendere sugli altri; la libertà è il potere che si vuole prendere su se stessi.

(...) Siamo noi a dover fare questa prima scelta: vogliamo la libertà e i suoi rischi, oppure vogliamo a tutti i costi il potere sugli altri, che può portare solo alla catastrofe?"

 

"Vorrei quindi che si ristabilisse come fine della società ... anche se dire una cosa del genere può sembrare enorme, eccessivo ... vorrei che il fine supremo di ogni società e di tutta la vita umana al tempo stesso, fossero queste tre cose: la libertà, inseparabile dalla responsabilità civica nei confronti della comunità, e l'amore, considerato come azione".

 

Il Comitato Parco di Villa Argentina è nato grazie all'unione di persone libere (di pensare con la propria testa), mosse dall'amore per la propria terra e per i beni culturali e la memoria storica che vi si trovano e dal senso di responsabilità nei confronti delle generazioni future, che meritano di crescere avendo come fonte d'ispirazione un bene culturale unico, un  bene comune, che possa fornire  una prospettiva di vita (di città, di urbanistica, di convivenza, di sviluppo sociale ed economico)  alternativa e opposta  a quella brutta, oscena, banale, prefabbricata fornita dalla periferia che è sorta nella piana di San Martino.

Tutti i movimenti e le associazioni di cittadini  sorti negli ultimi anni (la prima è stata probabilmente quella a difesa del Piano di Magadino decenni or sono) da Viva Gandria ai Cittadini per il  territorio del Mendrisiotto a Uniti per Bré ecc. sono spinte da quelle tre finalità: che l'augurio di Denis de Rougemont possa ispirarci nelle nostre comuni azioni e battaglie.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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26 luglio 2011 2 26 /07 /luglio /2011 22:29

Visto che il dibattito sui beni culturali a Lugano prosegue, questa volta proponiamo il contributo che l'arch. Riccardo Bergossi ha scritto sul Corriere del Ticino del 19 luglio 2011. Merita di essere letto, come merita d'essere ascoltato quanto detto sempre dall'arch. Bergossi nel corso della trasmissione Demilition City dedicata da Falò a quanto sta avvenendo a Lugano: vi consigliamo di andare sul sito della RSI e rivedere l'intera trasmissione.   

Demolition City è fondamentale per capire lo scontro in atto: è uno scontro di due visioni dei beni culturali, della società, dell'economia, dell'essere umano.

 Infatti, stiamo assistendo a un vero scontro di civiltà (altro che quello proposto dal prof. Samuel Huntington!): gli edifici - palazzi, ville, giardini e parchi storici - creati dalla borghesia illuminata dell''800 e della prima parte del '900 sono distrutti senza sosta dalla doppia azione dell'ignoranza e della speculazione, in primo luogo degli amministratori locali e da qui la reazione della società civile a difesa di beni che sono veri e propri BENI COMUNI (si veda l'articolo che abbiamo pubblicato il 24 giugno 2011 dedicato al dibattito sulla Legge sullo sviluppo territoriale, in cui abbiamo ripreso un breve passaggio dell'interessantissimo articolo di Aldo Bertagni apparso su La Regione) . Su quest'ultimo concetto torneremo presto, con una riflessione (conclusiva?) sul dibattito luganese

 

 

"LA CITTÀ: IL NUOVO CONVIVE CON L'ANTICO

Il dibattito sulla trasformazione edilizia della città di Lugano ospitato dal «Corriere del Tici­no» sembrava dover terminare con l'intervista al sindaco pubblicata il 23 giugno. Così non è stato, le parole di Gior­gio Giudici hanno ispirato nuovi commen­ti. L'editoriale del 4 luglio dal titolo Un vol­to per una città che vive pareva aver mes­so il punto finale alla discussione, ma a sua volta ha avuto una coda. Il confron­to non vuole proprio estinguersi, segno che il tema è molto sentito: mi permetto quin­di di riallacciarmi al testo dell'editoriale.

Le valutazioni sull'aspetto della città di Lugano e gli auspici per la sua evoluzio­ne futura vi sono presentate con una inte­ressante pluralità di spunti: l'evoluzione urbana in Europa dalla nascita delle cat­tedrali attraverso il Rinascimento, l'Otto­cento, fino a oggi, la proiezione verso il fu­turo, l'umana nostalgia per il tempo del­l'infanzia e della gioventù e per i luoghi che a quelle hanno fatto da sfondo, infine la necessità di modernizzare la città, di adeguarla al mutare delle esigenze degli abitanti. L'esposizione articolata sulla con­trapposizione tra vecchio e nuovo rischia però di dare un'immagine in bianco e ne­ro dei processi di trasformazione urbana, mentre sono le tante gradazioni interme­die quelle che meglio si addicono a deci­frare le oscillazioni della storia.
Partiamo dalle cattedrali. Sono nate nel Medioevo, comunemente su edifici religio­si preesistenti modificati e ampliati, ma dei quali si mantenevano evidenti tracce. Quale sorpresa possiamo provare noi og­gi visitando per esempio il duomo di Sira­cusa, quando oltre l'imponente facciata barocca scopriamo le colonne doriche del tempio greco sul quale la chiesa si è inse­diata. La costruzione di ogni cattedrale si protraeva nei secoli, così anche San Lo­renzo di Lugano è un edificio romanico, con facciata cinquecentesca, cappelle ba­rocche, sagrato neoclassico, decorazione pittorica dei primi del 900, e la conviven­za dei linguaggi corrispondenti a diverse epoche ne costituisce un valore che si ag­giunge a quello intrinseco dei singoli ele­menti.
Come le chiese, nella città del Rinascimen­to i grandi palazzi sorgevano non al po­sto delle case medievali - che a loro volta erano le case dell'epoca romana trasfor­mate nei secoli - ma su queste, mantenen­done strutture murarie e perfino ambien­ti. Le città allora densamente edificate e cinte da mura non avevano spazi dispo­nibili per nuove costruzioni ed era quin­di d'obbligo operare sull'esistente. La pra­tica aveva anche una giustificazione eco­nomica: reperire i materiali da costruzio­ne era difficoltoso mentre per secoli le tec­niche costruttive sono rimaste le stesse: era quindi conveniente riutilizzare le preesi­stenze. Per fare un esempio concreto, la lu­ganese Villa Ciani, sorta nel 1840, nelle ir­regolarità della pianta, con sale ognuna dalle dimensioni differenti, mostra di es­sere frutto della trasformazione di un al­tro edificio, la casa dei Beroldingen. Ve­diamo, dunque, che fino ai primi decen­ni del 900 ogni intervento nuovo nella cit­tà storica era in verità un rinnovamento che conservava la sostanza muraria e con­templava il ricupero di elementi architet­tonici che venivano riutilizzati sul posto o altrove. A partire dalla rivoluzione del­le tecniche costruttive tra gli anni 30 e 40 del 900, invece, una nuova costruzione presuppone la completa cancellazione di ogni preesistenza fino a parecchi metri sot­to la quota stradale e oggi nulla viene ri­cuperato al momento della demolizione di un edificio.
Le città storiche in alcuni periodi si sono anche ampliate. Nel 500 esse sono state dotate di nuove cinte murarie munite di bastioni a difesa da un nuovo pericolo: l'artiglieria. Dall'Addizione Erculea di Fer­rara (1495-1510), la costruzione dei ba­stioni si rivelava l'occasione per estende­re la superficie urbana. L'urbanistica ba­rocca prevedeva allora le residenze dei principi con ampie piazze e giardini su queste nuove aree, mentre estensioni im­portanti non utilizzate erano attribuite ai conventi che con i loro orti venivano a fa­re corona intorno alla città storica. Suc­cessivamente, a cavallo tra l'800 e il 900, le città europee hanno avuto uno svilup­po mai conosciuto prima e hanno inco­minciato a espandersi all'esterno delle mu­ra, gradualmente abbattute. A fianco dei centri antichi erano edificati nuovi com­parti. La Torre Eiffel, citata nell'articolo come esempio del rinnovamento dell'im­magine di Parigi, è sorta su aree in prece­denza libere, e nasceva - ricordiamolo - come opera effimera, celebrazione dei tra­guardi raggiunti dall'ingegneria in occa­sione dell'Esposizione internazionale del 1889, ma destinata a essere smantellata, e solo in seguito è diventata uno dei sim­boli di Parigi.
Come nelle altre città, a Lugano i regola­menti edilizi hanno pianificato i quartie­ri nuovi sorti dalla fine dell'800 in modo ordinato attorno al borgo, costituiti da edi­fici dalle omogenee caratteristiche di di­mensioni e linguaggio architettonico, ca­se d'affitto nelle zone più prossime come via Lucchini e più oltre case uni o bifami­liari con giardino. Questo piano di svilup­po, arrivato a compimento in circa 40 an­ni, dopo la guerra è saltato per l'impulso edilizio catalizzato dalla crescente specu­lazione, non imbrigliato dai nuovi piani regolatori. Il risultato è la Lugano odier­na, congestionata e disordinata. Trent'an­ni fa, quando incominciava l'urbanizza­zione del Pian Scairolo, si stava allesten­do il piano regolatore adesso vigente. Al­lora per Lugano sarebbe stato possibile fermare la distruzione delle aree intorno al centro e indirizzare la domanda di su­perfici per il terziario - banche in primis - verso un nuovo quartiere in prossimità del collegamento autostradale, coinvol­gendo nel progetto committenti e archi­tetti. Un'occasione perduta. Inoltre, l'area del piano, povera di architetture interes­santi o anche solo mediocri, ci dimostra che i criteri di pianificazione che ne han­no guidato lo sviluppo funzionano per la città nuova ancora meno bene che per la città storica. Tra qualche anno sorgerà il nuovo quartiere di Cornaredo: è auspica­bile indirizzare là la crescita e dare tregua alla Lugano storica. In che modo questa potrà essere migliorata? Non sono estem­poranee idee folli quelle che consentiran­no di dare un futuro brillante a Lugano, ma la sostituzione dei piani regolatori ca­ratterizzati da grandi aree dagli indici di costruzione elevati con piani particola­reggiati più parsimoniosi. Lo studio siste­matico della situazione attuale è la base per disegnare un ordine ora carente con lo strumento del concorso d'architettura e permettere all'edilizia storica di convi­vere armoniosamente con quella nuova. Eccoci infine al tema all'ordine del giorno a Lugano, dove un pezzo per volta gli edi­fici storici sono sostituiti da fabbricati nuo­vi dalle dimensioni molto maggiori. Ma mentre le case distrutte presentano un va­lore architettonico mediamente elevato (parole di Bernhard Furrer sulla NZZ del 3 giugno) ciò che ne prende il posto è in al­ta percentuale un'edilizia banale che sem­bra avere come prima e unica ambizione quella di sfruttare al massimo e a costi con­tenuti le possibilità edificatorie concesse dalle leggi edilizie. Può darsi che il bello e il brutto nelle costruzioni siano soggettivi (ma se così fosse non servirebbero più gli architetti). Il banale è però oggettivamen­te riconoscibile: manca, infatti, di ricerca architettonica e presenta una standardiz­zazione estrema dei dettagli, dei materia­li e delle stesse soluzioni abitative. L'esi­genza di istituire una tutela su alcuni edi­fici storici è sentita. Contrastare il deside­rio di conservazione dicendo che la città va lasciata svilupparsi e non deve essere imbalsamata, preoccupazione che si evin­ce anche dall'editoriale con i riferimenti al Rinascimento eccetera, avrebbe un si­gnificato se Lugano fosse rimasta in tutto e per tutto com'era 100 o più anni fa, cosa che in verità non è accaduta nemmeno a Venezia o a Berna. Invece a Lugano il rap­porto tra gli edifici costruiti prima e dopo la guerra è a occhio e croce quello di Ber­lino, città che è stata quasi rasa al suolo per i bombardamenti; di certo a Milano, che è stata molto danneggiata dalle incur­sioni aeree del 1943, la percentuale di edi­fici d'anteguerra è ben più alta che qui. Inoltre, troppi monumenti luganesi che dovevano essere conservati sono stati già distrutti da molti anni, e penso agli edifi­ci prenovecenteschi: i conventi trasforma­ti come il Venezia e le Scuole, l'Asilo vec­chio con le antiche case di piazza Ciocca­ro, l'Ospedale di Santa Maria, l'Albergo Svizzero, le case settecentesche di via Nas­sa e di via Peri, il Castello di Trevano, ma anche le grandi ville dei primi del 900 che rappresentavano il meglio dell'architettu­ra di quell'epoca: Villa Florida, Villa Apo­stoli in riva Caccia, le due ville Soldati una al ferro di cavallo e l'altra a Loreto, ai gran­di alberghi sul lago come il Lloyd e il Park Hotel ed è meglio fermare qui l'elenco.
Che la città di Lugano si impegni ora per conservare, tra le migliaia di edifici del suo parco immobiliare, quei 120 circa ai qua­li gli esperti dell'Ufficio cantonale dei be­ni culturali attribuiscono un valore stori­co architettonico notevole, è veramente una piccola cosa e non ha niente a che fa­re con la nostalgia: è un'operazione cultu­rale, inderogabile". 
BERGOSSI RICCARDO


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  • : salvaguardare il Parco di Villa Argentina (Mendrisio) come bene comune; riflettere sul territorio e sul paesaggio del Mendrisiotto e sulla qualità di vita dei suoi abitanti
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